L'Attesa in compagnia dura meno

L’organo a canne funziona benissimo nell’accompagnamento di molti altri strumenti, voce compresa, ma credo che la tromba sia uno dei pochi strumenti che permetta un vero dialogo con l’organo, senza relegarlo al ruolo di basso continuo. Inoltre, il suono a tratti festoso ed a tratti solenne della tromba si accompagna magnificamente all’atmosfera natalizia. Ecco dunque un concerto perfettamente in tema col tempo, nel tradizionale appuntamento del 26 dicembre a San Lorenzo di Abano Terme, cui ho potuto assistere grazie al mio abituale ritorno in terra natia per le feste.

foto da qui
Programma: G.F. Händel Sinfonia dal Messia (adattata all’organo) e Suite II in re maggiore dalla Watermusic (per tromba ed organo), J.S. Bach Concerto in la minore BWV 593 da Vivaldi (organo solo), G.B. Viviani  Sonata prima per trombetta sola ed organo dai Capricci armonici da chiesa e da camera op. IV, J.S. Bach Nun komm der Heiden Heiland BWV 659 (organo solo), G.F. Händel tre movimenti dalla Sonata in sol maggiore HWV 603b (tromba ed organo), infine come bis una versione per flicorno nella parte del tenore ed organo del corale nel IV movimento della cantata Wachet auf ruft uns die Stimme BWV 140 di J.S. Bach. Alla tromba (e flicorno) Diego Cal ed all’organo Francesco Finotti.

Il programma può sembrare “popolare”, con autori tradizionalmente associati ad una simile compagine, ma le scelte interpretative operate sono state tutt’altro che banali. Il tema del concerto era l’attesa, quindi più d’Avvento, o forse… da fine dei Tempi. Francesco Finotti, organista onorario ad Abano ed autore del progetto di restauro dello strumento, ha mostrato tutti i colori dell’organo in questione, dando l’idea di avere davanti un'orchestra intera più che un semplice strumento a tastiera, specialmente negli interventi solistici. Diego Cal ha abilmente spaziato dall’agilità del trombino in la alla pienezza del flicorno. La collaborazione tra i due artisti ha deliziato il pubblico, forse meno tedesco e turista del solito. Chi segue questo blog, sa quanto apprezzi F. Finotti nel repertorio più “impegnato”, trascendentale, con analisi dello spartito che rasentano gli studi teologici, ma devo ammettere di aver gradito anche questo concerto, preparato con la stessa attenzione dedicata a Liszt o Franck in altre occasioni. L’oretta di concerto è volata piacevolmente, insegnando parecchio ai musicisti presenti. Non esiste repertorio "facile" o "banale", almeno non ne ho udito in questa serata.

Ritorno al Musikverein

Non ricordo l'ultima volta al Musikverein prima di lasciare Vienna, ma ricordo la prima, ben sei anni fa, per sentire Harnoncourt dirigere Monteverdi, con una collega italiana che stava per lasciare la città. A pensarci bene, probabilmente non fu la prima volta al Musikverein, ma per la prima volta presi un posto a sedere, accanto all'organo, invece dei soliti in piedi in fondo. Dopo esattamente sei anni, per la prima volta dal rientro a Vienna, sono tornata al Musikverein, stavolta nella sala Brahms, ma nuovamente con un posto a sedere. L'occasione è stato un concerto in cui suonava Giulia, la violinista di cui più volte ho parlato.

Il programma ha previsto: Purcell Music for the Funeral of Queen Mary, Britten Ciaccona in sol minore da Purcell, Pärt Canto in memoria di Benjamin Britten nella prima parte e l'intera messa da Requiem di Mozart KV 626 nella seconda. Con l'orchestra del Wiener Concert-Verein, con il coro della Radio Croata (che festeggiava 75 anni), diretti da Tonči Bilić, ed i solisti (nel Requiem) Ivana Lazar (S), Ivana Sbrljan (mezzo) Ivo Gamulin Gianni (T) e Ivica Čikeš (B).
la sala Brahms del Musikverein dalla balconata sopra il podio
A parte la scelta un po' funerea, il concerto mi è piaciuto molto. In particolare ho scoperto il Canto di Pärt, autore cui mi sto appassionando sempre di più, nonostante l'essenzialità della composizione rispetto al mio mito, Bach. Purcell è sempre solenne e Britten una gioia per gli orecchi. Non ho condiviso la scelta di alcuni tempi del Requiem, ma nel complesso esecuzioni piuttosto tradizionale, non straordinaria. Nessuno dei solisti ha brillato in modo particolare, il coro ha dato una buona prova, a parte un'occasionale leggera calata dei tenori. Non ho sentito la compagine particolarmente affiatata, eppure lo stesso programma era già stato proposto a Zagabria qualche giorno fa. Forse ha pesato un po' la stanchezza o forse l'impietosa acustica della sala.

Che impressione mi ha fatto tornare al Musikverein? Portandoci un collega che non c'era mai stato, ma che ama e comprende la musica, l'ho rivissuto con gli occhi della sorpresa. Per tutti i dettagli che io avevo dimenticato e che lui vedeva per la prima volta. Il concerto è stato seguito da una piacevole semicena con la violinista di cui sopra e Stefano, il compositore e direttore di cui ho parlato in precedenza. In pochi minuti si è creata una bella sintonia nel gruppo, come difficilmente mi era accaduto quando ho cercato di portare colleghi ad occasioni musicali e viceversa. È bello essere tornata a Vienna!

Orchestra vs. organo

Il mio sabato sera è stato nuovamente all'università per la musica, per il concerto di gala di alcuni studenti di direzione d'orchestra. Sul podio si sono alternati: Batughan Uzgören, Katharina Wincor, Jera Petricek Hrastnik e Roger Diaz Cajamarca, dirigendo brani di Brahms, Beethoven, Prokovief e Honegger, con l'orchestra da camera dell'università, di cui Giulia, la violinista di cui parlai qualche tempo fa, era primo violino. Concerto interessante nel complesso. I giovani direttori sono ancora acerbi ed hanno chiaramente pagato le poche prove con l'orchestra. Della compagine mi sento di salvare Jera Hrastnik, per la ricerca di un dialogo con l'orchestra anche dopo il concerto. Gli aspetti positivi della serata sono stati il vedere un gruppo quantomai internazionale ed eterogeneo andare d'accordo nella musica ed il conoscere un'opera di Honegger che non avevo mai sentito e che mi verrebbe voglia di trascrivere per organo.

Questo concerto mi fornisce l'opportunità di parlare di altri due eventi in qualche modo legate a tale serata. Prima di tutto il concerto di laurea di Giulia, sentito qualche settimana fa, ove la violinista ha data una prova di maturità musicale di altissima qualità, giustamente premiata con il massimo dei voti e la lode. Non solo per l’abilità tecnica, ma anche per la scelta e la preparazione dei brani, con un repertorio non scontato ed una particolare cura per Schnittke, su cui ha scritto la tesina. Sentiremo ancora parlare di lei. Al concerto di laurea di Giulia ho rivisto anche un amico conosciuto al conservatorio di Padova, compositore, violinista, direttore d’orchestra e, per passione, anche organista, che si è laureato a Vienna in direzione d'orchestra l'anno scorso (con lode) e che ora sta terminando gli studi in direzione di coro e con cui ho avuto l'onore di suonare (sue composizione) un paio di volte prima della partenza per Vienna, Stefano Torchio.

Stefano si è un po' risentito che non abbia ancora parlato nel blog del suo lavoro di laurea: l'orchestrazione della Priere di C. Franck. Avevo i miei motivi: non ero presente al concerto, tenutosi prima del mio ritorno definitivo in città, e temevo di essere troppo condizionata dal mio rapporto col pezzo. Temevo di essere imparziale nel parlare della sua trascrizione perché abbiamo “studiato” con lo stesso maestro e perché Priere è stata per me la chiave per iniziare ad apprezzare e capire Franck, essendo l'unico pezzo di questo autore che istintivamente amavo. In conservatorio Franck mi era stato presentato in modo orribile ed incompleto ed all'inizio l'avevo totalmente rifiutato. C’è voluto molto tempo, ci sono voluti i concerti e le lezioni di Francesco Finotti, infine c'è voluta l’esperienza in Belgio, ove Franck è nato, con gli organi dell'epoca per iniziare a gustare questo raffinato compositore. Ora, più leggo le sue opere organistiche e più lo sento orchestrale. Forse per un sentimento d’inferiorità (purtroppo comune tra i Belgi verso i vicini Francesi e Olandesi), Franck ha scritto relativamente poco per orchestra in quella Parigi che pullulava di compositori. Il suo stile organistico si scosta da quello dei coevi e di chi l’ha seguito.


Tornando al lavoro di Stefano (che potete ascoltare qui sopra), dire sublime sarebbe ancora poco. Il titolo e la strumentazione hanno relegato il brano originale ad un’esecuzione esclusivamente ecclesiale. Invece si tratta di un piccolo poema sinfonico dal tema semplice che diviene ora consolante, ora entusiasmante, ora accorato, ora rassegnato. Un po’ come la nostra preghiera, magari fatta ripetendo delle formule, ma con intenzione totalmente diversa a seconda della nostra situazione. 

Le trascrizioni orchestrali di brani organistici non sono una novità, si pensi per esempio a Stokovski, di cui parlai qui. In quel caso, però, l’originale bachiano era stato completamente stravolto. Invece in Franck l’orchestrazione non è una forzatura. Semmai la versione organistica originale suona quasi come una riduzione. Stefano ha fatto un ottimo lavoro, liberando la farfalla che era nascosta nel bruco organistico. 

La domanda che mi pongo è ora come rendere tutto ciò con l’organo. Così mi sono tornate alla mente quelle prime esecuzioni di Franck che avevo udito in concerto e l’impressione che me ne era rimasta. Era proprio in questa direzione e sentire ora critiche alle acrobazie tecniche e tecnologiche (di cambi di registri) operate dall'organista di allora come finalizzate al solo spettacolo mi fa sorgere il sospetto che l'interlocutore non abbia ancora capito la grandiosità di un compositore che pensa orchestrale scrivendo per il re degli strumenti. Quindi, grazie Stefano per permetterci di apprezzare maggiormente l'opera di C. Franck.

Tra morti e Santi

Il "ponte dei morti", come si usa dire dalle mie parti, è stato ben utilizzato per allargare il mio orizzonte musicale, ascoltando due concerti/celebrazioni particolari: il Requiem di Duruflé e la Messa in la maggiore di Franck.

da link
Domenica 30 nella Marienpfarre, una chiesona di fine '800 nel XVII distretto, si è tenuto un vero e proprio concerto "ecumenico" in tema Duruflé, ricordandone i 30 anni dalla morte. Per quest'omaggio si sono riuniti la Wiener Evangelische Kantorei, il coro della Marienpfarre e l'ensemble pro musica sacra della Pauluskirche, diretti da Martin Zeller, accompagnati all'organo da Wolfgang Capek e con i brani introdotti dalle rispettive melodie gregoriane intonate da quattro elementi della Wiener Choralschola. L'idea di far sentire il canto gregoriano da cui Duruflé ha tratto l'ispirazione è stata particolarmente azzeccata, non solo per comprendere meglio la rielaborazione dell'autore, ma anche per prolungare la mezz'oretta scarsa del Requiem fino alla normale durata di un concerto di almeno un'ora. Il tutto è stato preceduto dalla Toccata dalla Suite op. 5 dello stesso autore. Nel complesso hanno fornito una buona esecuzione, un plauso particolare all'organista, titolare nella Augustinerkirche, che ha confermato la sua abilità allo strumento, in questo caso un modesto Rieger. Duruflé ha chiaramente preso spunto dal lavoro di Fauré, usando i medesimi numeri, quindi rompendo la tradizione delle messe da Requiem dei secoli precedenti. Anche l'uso dei solisti e lo schema compositivo di alcuni brani richiamavano fortemente l'omonima composizione di Fauré. Ho trovato interessante la rielaborazione delle melodie gregoriane, rendendolo un Requiem più accessibile e mistico del precedente e svincolando il ritmo dal tempo classico. Niente di estremamente moderno nelle armonie. In qualche modo ancora figlio dell'ultimo romanticismo francese, a mio parere.


l'organo dell'Alserkirche
Stamattina, nella mia parrocchia, Alserkirche, nel IX distretto, l'ordinario della santa messa è stato cantato dal coro della Wiener Tonkunstvereinigung, diretto da Laura Perez Soria ed accompagnato all'organo da Henriette Nagy. Il coro ha purtroppo dimostrato di non essere abituato a cantare in chiesa, in particolar modo in questa. Sorvolo sulle chiacchiere da mercato in cantoria prima dell'inizio della celebrazione, ma pure il bilanciamento di sonorità tra organo e coro è risultato fallimentare, con l'organo che copriva il coro nella maggior parte dei casi. Le voci erano numerose ma in taluni punti poco curate e talvolta con qualche problema d'intonazione. La pronuncia tedesca di una messa latina composta da un belga che lavorava a Parigi non si poteva sentire. L'organista, invece, ha gestito discretamente lo strumento ed il repertorio, oltre a fornire un buon accompagnamento alla liturgia con interessanti improvvisazioni sui corali ed una frizzante Toccatina di Dubois alla fine. La messa in la di Franck è un'opera articolata, piena di spunti musicali secondo il testo, con un accompagnamento chiaramente orchestrale anche all'organo (con l'aggiunta di un'arpa e di un violoncello). Della messa originaria farebbe parte anche il celeberrimo Panis angelicus, per fortuna non eseguito, oltre al Credo che invece è stato recitato dai fedeli.

Questo repertorio è ingiustamente poco ascoltato. Forse perché in qualche modo di origine francofona. Pur preferendo il Requiem di Fauré, mi farebbe piacere riascoltare e magari cantare la versione di Duruflé. Per quanto riguarda la messa di Franck, probabilmente un ensemble differente ed un'occasione diversa avrebbero reso maggior onore alla composizione, però apprezzo enormemente l'iniziativa, essendo Alserkirche una parrocchia a metà tra centro e periferia, con generalmente poca gente alle celebrazione e di età avanzata. Quello che è normale per l'Augustinerkirche, la Jesuitenkirche o Stephansdom diventa qui una rarità eccezionale.

Luci e suoni del Baltico a Vienna

Ieri sera ho assistito ad un concerto di rarissimo ascolto a Vienna. Si trattava di uno spettacolo audio-visivo, con musiche di compositori contemporanei e proiezione d'immagini di paesaggi, cieli stellati e viaggi nella Via Lattea sapientemente alternate con riprese (in diretta?) dei musicisti. Per questa occasione sono tornata all'università per la musica, ma stavolta nella sala Haydn, una piccola moderna sala da concerti. L'ideatore dell'evento, Lothar Strauß, ha sapientemente e simpaticamente introdotto l'iniziativa ed i vari brani e solo alla fine ho avuto la conferma che un'idea simile potesse venire solo da... Berlino. Il professore in questione lavora a Vienna da un anno, ma è nato e cresciuto nella frizzante capitale tedesca.

immagine della Via Lattea
Il concerto ha previsto: "Fratres" di Arvo Pärt (1935- ) per violino, orchestra d'archi e percussioni, "Ballata per arpa ed archi" di Einojuhani Rautavaara (1928-2016) ed il concerto per violino ed orchestra d'archi "Fernes Licht" (luce lontana) di Peteris Vasks (1946- ). L'orchestra da camera dell'università diretta da Vladimir Kiradjiev ha accompagnato le soliste Anastasia Harazade, Angela Rief e Indre Dromantaite. Quindi compositore estone, finlandese e lettone rispettivamente. Musicalmente Pärt è una rassicurante conferma. Ha un suo stile, scarno, fatto di suoni da ammirare singolarmente. Il brano si presterebbe benissimo ad essere adattato per violino ed organo ed è strano il compositore non l'abbia ancora fatto, nonostante le varie trascrizioni del pezzo per gli ensemble più vari. Rautavaara non mi ha colpito, vi ho trovato troppi "effetti speciali" ma niente di memorabile. Vasks, invece, è stata un'intensa e piacevole scoperta. Il suo concerto per violino ripercorre un po' la storia della musica, inserendo tecniche di vari secoli, ma allo stesso tempo è in una complessa e ben organizzata forma circolare. Come ha detto Strauß, non è da escludere un intento teologico nella composizione. L'orchestra se l'è cavata, il repertorio non era affatto facile. Il primo violino mi ha dato l'impressione di un carro armato, ma l'importante è il risultato. Le soliste sono state tutte brave. Nell'ultima traspariva la tensione ma effettivamente il brano era tecnicamente non facile. La sincronizzazione immagini-musica non era perfetta, in particolare i musicisti comparivano sullo schermo sempre un pizzico in ritardo rispetto a quanto suonato. Non avendo visto altre telecamere tranne una girevole posta di lato, credo che le riprese non fossero in diretta. Doppia fatica, quindi, coordinare il tutto a tempo.

Questo concerto fa parte di una serie di eventi dell'università in cui altri concerti con musica contemporanea e di provenienza "nordica" si alternano a mostre e proiezioni dell'istituto di cinema. In questo caso sono venuta a conoscenza dell'iniziativa grazie alla violinista di cui ho raccontato in precedenza, che qui suonava nell'orchestra d'archi, ma credo di mettere in programma altri concerti del festival. Come detto, una cosa simile è più unica che rara in una città musicale ma un tantino fossilizzata nell'accademismo come Vienna.

Orgeltag, il giorno dell'organo

Sabato scorso, 15 ottobre, ho partecipato alla IV edizione della giornata dell'organo.Dalle 14:30 alle 23 si sono succeduti concerti nelle chiese più note della città, dall'organo più antico al più recente, con il solo scopo di sensibilizzare la gente alla presenza di questo strumento. Mi sarebbe piaciuto si fossero unite anche le sale da concerto, per sfatare il mito che l'organo sia uno strumento prettamente da chiesa, ma magari la prossima volta.

foto da Wikipedia
Il programma completo si trova qui. Ovviamente ho dovuto fare una selezione, tra l'altro saltando a piè pari tutte le esecuzioni degli studenti delle locali scuole di musica. Causa altre priorità ho intenzionalmente perso il primo concerto alla Dominikanerkirche ma mi sono trovata poco prima delle 16 in Michaelerplatz con un’amica che mi ha accompagnato per tutta la maratona organistica. Potevamo scegliere tra l’Augustiner- e la Michaelerkirche ed abbiamo optato per quest’ultima per l’organo storico (inizio 1714).  Strumento che non delude mai, anche perché Manuel Schuen, l’organista, vi suona da anni. Avrei gradito qualche azzardo in più nella registrazione, che invece era rigidamente consona al repertorio (Kerll, Frescobaldi, Böhm, etc.). Due particolari non musicali hanno stonato: l’insistenza nel chiedere un’offerta da parte del parroco, tenendo conto che in questa chiesa già tengono regolarmente concertini per turisti per finanziare il recente restauro dello strumento, e la richiesta del programma all’uscita, un semplice A4 fotocopiato in cui facevano pure pubblicità alle altre iniziative musicali della parrocchia ed ai CD da loro prodotti.

foto da Wikipedia
Non siamo rimaste fino al termine perché alle 16:30 iniziava un altro concerto alla Jesuitenkirche. Qui, prima abbiamo sentito la studentessa moldava Cristina Galusca in Bach (Concerto Bach-Vivaldi in re minore BWV596), Mendelssohn (VI sonata op. 65/6) e Reger (fantasia corale su “Wachet auf, ruft uns die Stimme” op. 52/2) e poi il suo insegnante Michael Gailit in Bach (Partita su “Christ, der du bist der helle Tag” BWV766 e preludi corali su “Allein Gott in der Höh sei Ehr” BWV662-664 dalla collezione di Lipsia) e Schmidt (Ciaccona in do diesis minore). La prima ha pagato la giovane età e l’inesperienza. Non ha saputo gestire bene i registri e l’interpretazione era scolastica ed immatura. In Bach il primo allegro era troppo lento (o meglio, privo di ritmo), mentre l’adagio era troppo veloce e poco lezioso. La seconda variazione sul corale in Mendelssohn era confusa, causa registri errati al pedale. Tecnicamente le sbavature erano trascurabili, ma appena l’insegnante ha iniziato a suonare pure la mia amica, non organista, ha convenuto che sembrava di sentire un altro strumento. Lui sì conosceva bene come far tremare le pareti della chiesa o raggiungere il limite dell’udibile, come pulire i suoni, gestire il fraseggio e dare un senso alla composizione. Per carità, nulla di eccezionale, semplicemente la mano navigata di qualcuno che evidentemente conosce l’organo e l’ambiente in cui si trova. La ciaccona di Schmidt resta per me un pezzo troppo lungo e difficilmente digeribile.

Wöckherl-Orgel, foto da Wikipedia
Per le 19 eravamo nella Franziskanerkirche per un concerto alquanto inusuale: serie di improvvisazioni con l’organo Wöckherl (1642, con temperamento mesotonico), l’organo Rieger (equabile) e voce. Allo strumento contemporaneo c'era Manfred Tausch, allo strumento antico, al positivo ed incaricato della presentazione Johannes Ebenbauer ed il soprano era Susanne Kurz. Oltre ad essere piuttosto bravi nell’improvvisare in diversi stili, hanno mostrato un certo affiatamento nel suonare assieme. Interessante combinazione tra  organi così diversi. L'impatto iniziale ha fatto sembrare lo strumento antico “stonato” e modesto rispetto al possente Rieger ma poi la bellezza delle armonie e dei registri dello strumento storico ha prevalso sull'impersonalità di quello moderno.

Dopo una tradizionale cena viennese, innaffiata dal mio primo Sturm, abbiamo fatto a tempo a sentire parte dell’ultimo concerto della giornata, a Stephansdom. Ascoltare musica nella cattedrale di sera assume sempre i contorni di un’esperienza mistica, probabilmente per l’oscurità, le dimensioni della chiesa e l’acustica. Konstantin Reymaier ha eseguito sul nuovo Rieger Bach, un’improvvisazione e una trascrizione del celeberrimo adagio dalla VII di Bruckner, per terminare con una piccola improvvisazione sulla ninna nanna di Brahms. Anche qui nulla di eccezionale, ma l’organo merita e l’ambientazione è unica. L’unico rammarico è storico, perché Bruckner ha prestato regolare servizio come organista ma ha composto poco o nulla per questo strumento, nonostante sui nostri libri di storia della musica si dica che il suo stile compositivo risenta della formazione organistica.

Conclusione. Come la lunga notte delle chiese, credo sia un’iniziativa da ripetere e copiare. Ancora troppe persone si rifiutano di mettere piede in chiesa per paura di non so cosa e così facendo si perdono grandi opere d'arte. Indipendentemente dalla fede o qui anche dalle tasse, la musica come la pittura sono state finanziate in passato dalla Chiesa e non possono essere da questa svincolate. Inoltre molte persone non sanno che un organo ha una pedaliera che copre due ottave e mezza, che gli spartiti per organo sono scritti su tre righi per questo motivo, non sanno cosa sia un registro e quanto complesso ed evoluto sia il meccanismo di funzionamento di questo strumento, non sanno nulla di temperamenti ed accordature, etc. Associano l'organo solamente a noiosi accompagnamenti dei canti durante la messa, senza nemmeno immaginare che quello strumento ha il potenziale di un'orchestra intera. Il 75% del repertorio organistico non è prettamente liturgico. In tutto il pomeriggio ho sentito solo qualche corale che può essere quindi definito musica sacra, tra l’altro corale luterano in chiesa cattolica. Per il resto, tra preludi, ciaccone, toccate e canzoni non c’era nulla di “religioso” se non l'ambientazione. Speriamo di aver demolito qualche pregiudizio!

Metti una sera in conservatorio a Vienna

Dopo le consuete 10-11 ore in ufficio, qualche sera fa sono andata all’università musicale per assistere ad una prova pre-laurea di una violinista ed una violista. Ho conosciuto la violinista, italiana, durante le riprese di un documentario in cui entrambe abbiamo partecipato come comparse. Stanchezza e fame (non avevo cenato) sono passate all’istante appena varcata la porta di quel solenne edificio tutto illuminato in una fredda e buia serata d’autunno. Nell'aula c'erano già altri amici e conoscenti delle due laureande, tutti musicisti e di varie nazionalità. Il programma delle due ragazze era impressionante, specialmente per la violinista. Oltre a qualche solo, erano previsti anche passi di concerto accompagnati al pianoforte da una collega. Per un'ora e mezza sono stata trascinata nelle spire di Schubert e poi sulle vette di Brahms, passando per il ritmo travolgente di Bartok e la spensieratezza intelligente di Mozart. Un vortice senza fine. Anche di ricordi, dei tempi del conservatorio, i miei vent’anni, delle lezioni di solfeggio che impartivo dopo il diploma (complice la lavagna pentagrammata) e della mia prima esperienza viennese, quando giravo ovunque con la bici come questi ragazzi seguendo tutti i concerti gratuiti offerti dalla città. Alle 21:30 abbiamo dovuto scappare perché altrimenti non avrebbero più concesso aule per studiare alle due ragazze (sempre meglio del Pollini ove ai nostri tempi alle 18:30 sbattevano fuori se non c’era l’insegnante e trovare un’aula per studiare era sempre un’impresa impossibile). La serata è proseguita con una birra internazionale e musicale, in un locale pieno di fumo (sì, qui è ancora ammesso) e di studenti del conservatorio. Una tipica serata viennese bohemien.

© Universität für Musik und darstellende Kunst Wien
Dal punto di vista musicale, ho avuto l'occasione di riflettere sul nostro modo di fare musica. Entrambe le ragazze hanno dimostrato una buona preparazione di base, eppure ognuna rispecchiava l'origine. La violista francese gigioneggiava, le veniva naturale. Il repertorio romantico l’aiutava molto, un po’ meno Bartok. Nella violinista italiana, invece, trasparivano l'emozione e l'atteggiamento ipercritico verso se stessa. Ha mostrata un'abilità tecnica impressionante, con minime sbavature che non sarebbero nemmeno state notate se lei stessa non ci avesse dato tanto peso. Acciderbola, mi ci sono riconosciuta! I nostri insegnanti (anche in campo scientifico) ci hanno instillato l’insicurezza, talvolta per la loro ansia da prestazione, talvolta per poter mantenere il loro potere su di noi, talvolta per frustrazione (senza una carriera concertistica in corso) e talvolta per desiderio di stimolare l'allievo a dare il massimo e spiccare il volo. Finché non s'incontra l'insegnante che ci dà fiducia o non si raggiunge da soli la pace con se stessi, ci fissiamo degli standard di perfezione che proprio perché irraggiungibili umanamente ci lasceranno sempre insoddisfatti delle nostre performance. Nel caso della violinista, senza motivo, perché anche a livello interpretativo ha mostrato una maturità di tutto rispetto, decisamente maggiore di quella della collega francese, che suonava tutto più o meno con lo stesso approccio. Nel primo movimento del concerto di Brahms mi è venuta letteralmente la pelle d’oca! L'esito dell'esame le ha riconosciuto il talento che già in una semplice prova casalinga aveva mostrato. Mi auguro un giorno di sentirla per radio o meglio ancora dal vivo al Musikverein come solista.

Restando in tema autocritica, abbiamo il terrore del giudizio degli altri ma i primi insoddisfatti siamo noi stessi. Ci perdiamo il piacere di far musica, non ci rendiamo conto di essere dei privilegiati. Essere stata invitata ad una serata simile per me è valso più di una cena a base di pesce nel migliore ristorante della città. Eppure temo che solo chi abbia pianto e sudato cercando di sistemare un passaggio tecnico complesso, solo chi ha dovuto aspettare anni prima di suonare un pezzo decente e solo chi non ha smesso mai d’imparare e guarda con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino qualsiasi nuovo spartito possa apprezzare fino in fondo un'occasione simile e godersela pienamente. Il vantaggio della musica è che può essere goduta a vari livelli anche senza averla studiata, nonostante potendola capire ci si trova come dopo aver imparato una lingua straniera e finalmente poter leggere un libro o vedere un film in lingua originale. In questo caso particolare non era tanto il comprendere il linguaggio musicale l'aspetto fondamentale per apprezzare la serata, quanto piuttosto la condivisione dello sforzo, degli anni, dell'ansia dell'esame, della paura del parere di chi ci conosce, etc. ossia del mettersi a nudo di fronte ad un pubblico. Tutto sommato, a posteriori, il rinfrescarsi di un'emozione complessa che ha lasciato una cicatrice di ricordi positivi e dolorosi allo stesso tempo.

La prima volta di Mrs. Pinkerton

La stagione del Filmfestival al Rathaus volge al termine e mi sono concessa un'ultima serata grazie alla compagnia di un'amica e collega tedesca. L'occasione perfetta era la proiezione della Madama Butterfly di Puccini nell'allestimento del Metropolitan del 2009, con Patricia Racette (Butterfly), Marcello Giordani (Pinkerton), Maria Zifchak (Suzuki), Dwayne Croft (Console), diretto da Patrick Summers con la regia del compianto premio oscar Anthony Minghella.

È stata la prima volta per me con Butterfly per intero (link ad una versione critica). Ho rafforzato la mia opinione, adoro Boheme e Tosca, ma le altre opere di Puccini non m'ispirano allo stesso modo, le trovo troppo… “urlate” per i miei gusti antiquati. Nel caso di Butterfly ci sono momenti sublimi, bisogna ammetterlo, inoltre la storia è molto moderna e coinvolgente. Ciononostante ho trovato strano udire un fugato, pur se ben fatto e basato su una citazione, nella sinfonia iniziale. Per un attimo ho creduto di aver beccato Mozart (Zauberflöte per esempio)!

Il bimbo con l'ingombrante presenza dei 3 burattinai
I cantanti se la sono cavata egregiamente. Butterfly molto espressiva, anche se chiaramente più vecchia dei 15 anni previsti dalla storia, quindi l’atteggiamento da bambolina ed ingenuo suonava manierista. Suzuki brava. Entrambe, però, non hanno curato molto la pronuncia. Pinkerton, chiaramente italiano, ha reso il carattere più mediterraneo che americano, ma egregiamente. Il console ha mostrato una grande forza drammatica. Goro se l’è cavata ma non so se intenzionalmente o meno è diventato una macchietta forzatamente effemminata. Bello l’adattamento con richiami al teatro giapponese, pur forse con qualche minima svista o forse voluto adattamento alla mentalità USA (davvero trascurabile). Non ho apprezzato la scelta di usare un burattino (animato da ben 3 persone) per il figlio. Al di là della tradizione giapponese e della simbologia che qualcuno ha voluto vedere nel rendere la solitudine e la discriminazione che vivrà il bimbo, avrei preferivo vedere un fanciullo in carne ed ossa come sempre. Probabilmente dal vivo in teatro i tre burattinai mascherati di nero quasi non si notavano, ma nelle riprese video erano un fattore di disturbo e distrazione.

Bella serata. Freddina ma limpida. Dubito riuscirò ad assistere ad altre proiezioni per quest'anno. In compenso tra poco inizia la stagione alla Staatsoper, ove potrò finalmente godere di opere dal vivo, magari quest'anno mi concedo pure un Wagner.

Bibbia e Bach, donne e saggezza

Per l’ennesima volta a Berlino per un convegno e per l’ennesima volta ho fortuitamente assistito ad un’interessante iniziativa musicale. Nella chiesa luterana Jesus-Christus della comunità di Dahlem, storicamente attiva in campo musicale, a due passi dal centro congressi, per sei domeniche un attore leggerà passi dalla Bibbia intervallati con musiche di Bach per organo, sul tema “Donne e saggezza”. Tra gli attori presenti ci sarà anche Martina Gedeck, resa famosa alle nostre latitudini grazie al film “La vita degli altri”.

Logo dell'evento
Domenica 7 agosto ho beccato il capitolo di Ruth, letto da Heikko Deutschmann e commentato musicalmente dall’organista Anna-Victoria Baltrusch, con la Toccata e Fuga in re min. dorica BWV 538, il preludio corale sul “Vater unser” BWV 682 e sul “Komm heiliger Geist” BWV 651, entrambi dalla collezione di Lipsia, e l’Adagio dalla Toccata, Adagio e Fuga in do maggiore BWV 564.


L'organo in questione
La giovane organista se l’è cavata egregiamente, anche se l’interpretazione era un po’ troppo scolastica ed acerba per i miei gusti. La fuga della dorica è un monumento finemente cesellato, non un mattone da terminare prima possibile in organo pleno. L’organo avrebbe permesso ben più ampie possibilità, date le dimensioni. La scelta dei brani si accordava bene al testo ed il lettore (austriaco) ne ha dato un’ottima interpretazione. La chiesa era piena e non tutti avevano i capelli bianchi. Al solito, offerta libera al termine per sostenere la musica liturgica e quindi anche iniziative come queste. Essendo la chiesa luterana, nonostante l’alta tassa (quasi il 10%, altro che il nostro 8 per mille!), le offerte sono in banconote. Non perché la gente sia particolarmente più ricca in questo angolo di Germania (anzi le statistiche dicono che Berlino abbassi la media tedesca) ma perché è più sensibile alla questione musicale rispetto alla media europea. Nella chiesa luterana la musica è una parte fondamentale della liturgia. Senza musica il culto sarebbe come una messa da noi con il parroco in calzoncini e maglietta.

Bellissima idea che permette di conoscere testi magari meno frequentati della Bibbia e di avvicinare tutti alla teologia della musica bachiana. Senza commenti e chiacchiere aggiuntive ed inutile. Hanno parlato le Scritture e la Musica. Se avessero bisogno di lunghe spiegazioni perderebbero gran parte della loro forza comunicativa. Lodevole l’accento sulla donna, sia con la scelta di testi consoni, sia con la presenza di attrici ed organiste. Magari potesse essere d’ispirazione anche per qualche chiesa italiana!

Rigoletto al casinò

Finalmente di nuovo a Vienna, archiviati gli Europei è ripreso come ogni anno il Filmfestival a Rathausplatz ed ho ripreso la bella abitudine di vedere opere  liriche proiettate su uno schermo gigante di 300 mq. Una delle cose che mi è mancata in questi anni, assieme all’estate stessa. Per motivi vari, la prima opera scelta è Rigoletto di Giuseppe Verdi, nella versione del 2013 al Metropolitan di New York. Ecco la locandina: Piotr Beczala (Duca di Mantova), Željko Lučić (Rigoletto), Diana Damrau (Gilda), Štefan Kocán (Sparafucile) e Oksana Volkova (Maddalena), con la direzione musicale del giovane Michele Mariotti in una produzione di Michael Mayer.

Una scena, presa dalla rete.
La trasposizione nella Las Vegas degli anni ’60 mi suonava tremenda. Già in passato ho visto opere rovinate da modernizzazioni prive di senso. Invece in questo caso ho dovuto ricredermi. È stata fatta bene e la storia non era affatto meno credibile per questo. L’azione scenica agevole e naturale anche per i cantanti. Carina! L’unico problema per me, capendo a tratti cosa dicevano o conoscendo il libretto, era l’incongruenza tra un italiano arcaico ed un’ambientazione moderna. Sentir chiamare una cadillac “destriero” è veramente esilarante.

Le voci. Il duca ha una bella voce ma dovrebbe curare di più la pronuncia, la mimica facciale e soprattutto l'interpretazione in base al testo. Rigoletto non mi ha colpito particolarmente, nella media. Idem Maddalena, anzi forse un po’ pallida. Gilda, invece, se l’è cavata egregiamente a mio parere, pronuncia chiara e voce espressiva. La recitazione di Gilda è stata anche tra le più credibili, nonostante avesse ben qualche anno di più di quanto preveda il libretto. Il giovane direttore se l’è cavata egregiamente, sottolineando i dialoghi tra voci e strumenti solisti nelle arie, anche se sospetto che questo sia il risultato di un sapiente lavoro di tecnici del suono a posteriori.

Stranamente sono riuscita a sentire l’opera fino al termine, nonostante qualche lampo ed una brezza gelida. Soprattutto grazie alla compagnia di una collega tedesca, senza la quale probabilmente non sarei nemmeno andata al Rathaus. Al termine della proiezione il Rathaus si è illuminato come un albero di Natale. Bellissimo! Considerando i tempi in cui stiamo vivendo, mi ha sorpreso non vedere polizia, controlli e blocchi. C’erano centinaia di persone davanti quello schermo. Forse devo ancora recuperare la serenità ed il fatalismo locali. Certo che questa mania di autoscatti (ora si chiamano selfie) e di riprese in notturna con cellulari dotati di fari da proiezione più che di normali flash non ha molto senso, ci si perde l'attimo oltre a disturbare il prossimo.

Qualche sera dopo sono riuscita a vedere l'inizio dell'Orfeo di Monteverdi diretto dal compiano Harnoncourt. Musicalmente interessantissimo, ma la regia del 1978 mi era insopportabile. Onestamente anche le voci erano troppo "moderne" in confronto agli strumenti. Peccato. Gli avrebbero reso maggior onore con la proiezione del Vespro della Beata Vergine, cui assistetti ormai sei anni fa.

Die lange Nacht der Kirchen... potenziale

In attesa di poter godere nuovamente di persona di questo evento, ossia della serata in cui tutte le chiese sono aperte fino all’una di notte offrendo concerti, seminari, visite guidate e riti particolari, ecco la scelta che avrei fatto se fossi già stata a Vienna.

Alle 17:30 sarei andata all’Otto-Wagner-Kirche am Steinhof per un concerto d’organo, più per il luogo che per il programma.
Alle 18:00 concerto d’organo e guida all’Augustinerkirche. Gli strumenti meritano! Anche se sarei tentata di saltare all’Hofburgkapelle per sentire i Wiener Sängerknaben. Tanto le due chiese sono vicinissime e sinceramente ho già assistito una volta alla dimostrazione guidata degli organo dell'Augustinerkirche.
La pianta su google delle chiese centrali che avrei visitato.
Alle 18:30 sarei stata combattuta tra la musica armena della Mechitaristenkirche e la "Petite Messe solenelle" di Rossini ad Heiligenstadt.
Alle 19 avrei potuto scegliere tra la curiosità per gli inni ortodossi e finalmente sentire l’irgano della Karlskirche. Tenendo conto che alle 19:10, però, iniziavano le "Musikalische Exequien" di Schütz nella Schottenkirche e mi sarebbe piaciuto poterle ascoltare da spettatrice per una volta, dopo averle eseguite col coro a Bxl in un'atmosfera alquanto tesa lo scorso novembre.
Alle 19:30 ci sono ben due concerti di beneficienza parimenti interessanti: "La creazione" di Haydn a Maria Treu (la chiesa di Bruckner) e sonate da chiesa di Mozart nella Jesuitenkirche. Nel primo caso raccolgono fondi per il recupero dell’organo storico, nel secondo per i rifugiati.
Alle 20:00 c’è davvero l’imbarazzo della scelta. Probabilmente avrei optato per la musica rinascimentale nella Kruezkapelle della Michaelerkirche.
Alle 20:30 sarei andata alla presentazione dell’organo Kaufmann nella chiesa Mariahilf, ove sarei rimasta per il mottetto Jesu meine Freude BWV 227 alle 21. Nel caso di un’esecuzione inascoltabile sarei corsa alla Jesuitenkirche per un breve concerto d’organo.
Alle 21:30 avrei dovuto nuovamente dividermi: A St. Salvator proponevano musiche tardo rinascimentali e barocche, alla Peterskirche un po’ di allegria con musica per tromba ed organo, con all’organo un ragazzo conosciuto ad Haarlem nel 2008 e che mi ha aiutato molto ad inserirmi nel mondo organistico viennese sei anni fa, ed infine alla Schottenkirche si lanciano nel "Requiem" di Mozart.
Alle 22:00 tempo di organo, tra la Franziskanerkirche e la Michaelerkirche, ove suona un’altra vecchia conoscenza, un ragazzo altoatesino.
Un po’ di riposo, anche per trovar posto a sedere, prima del "Dettinger Te Deum" di Händel nello Stephansdom alle 23:00, anche se questo avrebbe significato perdersi Reger nella Schottenkirche e repertorio simile nella Votivkirche.

Poi lentamente sarei tornata a casa, grata per la serata piena di ottima musica. Purtroppo avendo saltato tutte le visite guidate in chiese storiche ed in luoghi generalmente chiusi al pubblico e limitandomi alla sola zona entro il Gürtel. Avrei avuto bisogno di scarpe buone per una lunga corsa musicale. Qui il programma completo. Le scelte fatte sarebbero state dettate dall'astinenza di certo repertorio e di alcuni luoghi dopo tre anni a Bxl, ma probabilmente avrei optato per esperienze differenti se fossi stata sul posto, perché le occasioni per sentire gli strumenti ed i brani più noti non mancano anche durante il resto dell'anno.

Ode al silenzio (che non c'è a Bxl)

Oltre due mesi di silenzio su questo blog. Da quel 19 marzo in cui presi parte ad un concerto col coro non ci sono state altre occasioni di ascoltare o fare musica. Ammettiamo pure che gli attentati a Bxl abbiano un po' fatto passare la voglia di uscire, aggiungiamo che tra viaggi miei e dell'amica con cui abitualmente vado ai concerti difficilmente siamo state in città nello stesso periodo, però un silenzio così lungo non si spiega. Ho continuato a suonare in chiesa e prossimamente parteciperò ad una rassegna corale, ma nulla degno di nota. Il problema, a mio parere, è che questo paese è dominato dal rumore, dagli stimoli sonori indesiderati, e come conseguenza non si sappia più apprezzare la vera musica o almeno non se ne senta la necessità.

Foto non mia di una stazione sotterranea di tram.
La metro. Musica a tutto volume nelle stazioni sotterranee, nonostante di questi tempi in molti si bombardino gli orecchi con la propria musica preferita grazie alle cuffiette. Pop, rock, tutto va bene, in tutte le lingue. Tranne la musica classica, che si udiva fino a qualche tempo fa la sera tardi, in teoria per dissuadere bande di giovinastri. Me la godevo troppo di ritorno dal coro o da una cena, così mi hanno tolto pure questa. Ora la sera mandano ambient music, ossia non musica ma rumore tonale, che addormenta il cervello. L'arrivo della metro è considerato una salvezza, visto che nell'attesa non si riesce a leggere o ad ascoltare altro. Eppure nemmeno la metro è silenziosa. Non parlo delle persone che chiacchierano in varie lingue o del rumore del treno sui binari. Mi riferisco, invece, a musicisti improvvisati, strimpellatori di turno, che assordano con fisarmoniche stonate o con amplificatori economici. Chiedono l'elemosina ed onestamente verrebbe la tentazione di pagarli per farli smettere.

Foto non mia del nostro campus.
In ufficio. Lavoro all'università, qui ci si aspetta il silenzio. Effettivamente il nostro dipartimento è tranquillo, tranne quando c'é qualche ospite o passa la signora delle pulizie che ascolta la radio o parla al telefono, ma il rumore arriva comunque dall'esterno. Non mi riferisco al traffico sullo stradone sottostante e nemmeno alle numerose sirene di polizia, ambulanze e pompieri, che da qualche tempo a questa parte ci fanno saltare sulla sedia, ma gli eventi sportivi dei bimbi nel campus sottostante, con tanto di musica e discorsi amplificati a livelli da concerto in stadio. Per tacere del mese di feste goliardiche, con studenti ubriachi che urlano e cantano quando uno dovrebbe lavorare.

A casa. Almeno dentro casa uno spera di poter gustare il silenzio. No! Cantieri, veicoli, clacson a gogo, scolaresche, piccioni, aerei in fase di decollo dalle 6 del mattino alle 23, etc. Questo il rumore che viene da fuori. Poi si deve aggiungere il disturbo dei vicini, perché a queste latitudini non sanno cosa sia l'isolamento acustico nelle costruzioni e nemmeno conoscono il rispetto del riposo notturno. Passi per la lavatrice alle 22, la porta di casa a mezzanotte, ma l'attività ginnica (eufemismo) in camera di una giovane coppia focosa alle 2 di notte di giorno di lavoro?

È bastato il soggiorno di una settimana a Vienna per gustare nuovamente il silenzio e per recuperare l'insofferenza cronica al rumore di Bxl. Persino nelle chiese mettono registrazioni di sottofondo. In realtà il silenzio assoluto non esiste e nemmeno Vienna è una città muta, ma basta prendere la metro o andare al mercato per rendersi conto della differenza. Senza una sovrastimolazione dell'udito si presta più attenzione agli annunci vocali prima delle fermate, al suono del treno che parte, etc. Oltre a potersi immergere nella lettura o nella conversazione (non urlata) in un'altra lingua. Sembra che a Bxl ci sia una paura patologica del silenzio, il terrore di essere assordati dal frastuono dei propri pensieri.

La vigilia delle Palme con Buxtehude

Ci risiamo. Di nuovo in chiesa, di nuovo in quella di lingua tedesca e di nuovo per musica luterana. Stavolta con un coinvolgimento in prima persona, come corista e come occasionale continuista. Sabato 19 abbiamo eseguito “Membra Jesu Nostri” di D. Buxtehude, con i soprani Anneli Harteneck e Katharina Wegner (che ha suonato anche il flauto dolce), il controtenore  Boris Kondov, il tenore Mitch Raemaekers, al violino Aymeric de Villoutreys e Blanca Prieto, alla viola da gamba Anne Bernard e Fredrik Hildebrand, alla tiorba Pieter Theuns, il coro Ökumenische Kantorei, tutti diretti da Christoph Schlütter che ha anche cantato come basso solista.

Solitamente questa composizione si trova con cinque solisti, anche nei “Tutti”. Invece nel nostro caso alcuni numeri sono stati cantati dal coro. Purtroppo l’unica prova non è stata sufficiente a creare la desiderata sintonia tra musicisti e la sperata familiarità con la composizione. Diverse esperienze, diverse lingue e pure diverse culture. Eppure il risultato non è stato così disastroso come si poteva temere, nonostante differenze d’intonazione verso la fine tra gli archi e l’organo, delle imprecisioni sparse (molte mie, lo ammetto, ero piuttosto nervosa per l’insolito compito) ed alcune insicurezze dei solisti. Lo scopo è stato raggiunto e per essere una cosa “casalinga” si è andati anche oltre alle aspettative. Dei solisti, Anneli Harteneck è sempre un piacere da ascoltare, Katharina a mio parere ha brillato più nel suonare il flauto, Boris Kondov e Mitch Raemaekers sono ancora giovane ed inesperti, ma hanno delle belle voci che spero portino lontano. Il suono della viola da gamba è sempre affascinante. Non a caso Buxtehude ne aveva previste ben quattro nella VI cantata, la più intensa secondo me, dedicata al cuore.

Dettaglio della chiesa. Da qui.
Pubblico scarso (superava di poche unità l’organico di coro e gruppo strumentale) e “vecchio”, nel senso che la maggior parte dei presenti aveva i capelli bianchi (a parte un infante). Viene da domandarsi come mai. L’evento era presente anche su quefaire.be, quindi la pubblicità non è stata ristretta alle comunità di lingua tedesca (anche se la breve presentazione da parte del parroco è stata solo in tedesco). Il concerto era gratuito (offerta libera). L’orario non era né troppo tardi (bambini da mettere a letto, cene tra amici, feste del sabato sera) né troppo presto (i negozi erano già chiusi). Un po’ temo sia una sorta di allergie alle chiese (eppure entrarvi non è contagioso, purtroppo) ed alla musica sacra. Quest’ultimo atteggiamento denota una certa ignoranza, perché la musica sacra di una volta, come ora, attingeva a piene mani dalla musica pop dell’epoca ed in questa seriosa composizione si possono udire echi di danze e canti da osteria, depurati con un bellissimo testo latino. Ciononostante, oltre al piacere di rivedere alcune conoscenze della comunità luterana, mi ha sorpreso grandemente vedere un’amica italiana (pure con il ragazzo fiammingo ed un’altra sua amica italiana, che hanno abbassato drasticamente l’età media), venuta solo per amicizia nei miei confronti perché le piace tutt’altra musica e non parla tedesco, ed un signore padovano che conosco di nome da lunga data per le numerose amicizie in comune, cantante, che ha addirittura partecipato all’incisione della composizione in questione ad Assisi e con cui non ero ancora riuscita ad incontrarmi (in tre anni!) nonostante la passione in comune per la musica corale.

Proprio questo signore mi ha fatto apprezzare l’esecuzione tutto sommato discreta per la situazione, tenendo conto che in Italia un evento simile con un coro parrocchiale (tranne alcuni rari casi) non sarebbe nemmeno immaginabile. Conoscendo il panorama musicale delle ben sei comunità italiane in città, direi che la cosa sarebbe improponibile anche fuori dall’Italia, se in mano a connazionali. Peccato! Fare buona musica assieme è una delle esperienze più belle della vita, tanto che in preparazione a questo concerto ci siamo concessi un weekend in un convento Salvatoriano in Germania. Stamattina ho suonato a messa nella stessa chiesa tedesca ed una signora mi ha riconosciuta e ci ha tenuto a commentare il concerto di ieri sera, dicendo che la musica ed il testo l’hanno fatta riflettere sul significato della Passione di Nostro Signore. Ecco, trattandosi di un’iniziativa “parrocchiale”, l’esecuzione perfetta tecnicamente sarebbe sicuramente stata più apprezzata dai musicisti ma forse non avrebbe raggiunto il medesimo risultato comunicativo, da tedeschi a tedeschi, passando per la composizione di un tedesco di adozione e l’esecuzione di un gruppo quanto mai internazionale.

Non c'è Quaresima senza Bach

Come da tradizione, non mi sono fatta mancare una Passione bachiana in questo periodo di meditazione. Stavolta la Johannes, come sei anni fa a Vienna (link), quella volta in versione cinematografica. Nella bella cappella dei Domenicani a Bxl, con l'Hildebrandt Consort diretto dal giovane Wouter Dekoninck.

 Ci sono composizioni che ti prendono per mano e dopo ore di musica ti lasciano nel mondo attuale, con quel senso di smarrimento che si prova al risveglio dopo un sogno particolarmente realistico. La Johannes-Passion è una di quelle. Di volta in volta siamo Pietro, che prima dichiara la propria fedeltà a Gesù ("Ich folge dir gleichfalls") e poi lo rinnega e piange amaramente per quanto fatto ("Ach, mein Sinn"), siamo Pilato, che cerca di fare il possibile per non invischiarsi in una faccenda poco chiara e scarica la responsabilità sugli Ebrei, siamo il popolo che segue ciecamente chi urla più forte ("Kreuzige"), siamo i seguaci di Gesù che alla sua morte credono che sia tutto finito ("Es ist vollbracht"), siamo la comunità dei Cristiani che alla fine crede e rivolge un accorato appello di fiducia al Signore ("Ach Herr, laß dein lieb' Engelein"). È impossibile non restare coinvolti in questo vortice di emozioni, abilmente guidato da Bach, con un'adesione fedele testo-musica.

la chiesa dei Domenicani
Il mio scopo qui non è elogiare la composizione ma raccontare dell'esecuzione udita iersera. Nel complesso degna di plauso. Fantastico l'evangelista, Kevin Skelton, con una pronuncia chiara ed un'interpretazione sentita, il vero artefice del coinvolgimento emotivo. Organico ridotto all'osso, come si usa di questi tempi, con i solisti a far anche da coro. In ogni caso non male, erano in otto: due bassi, uno piuttosto in età avanzata nella parte di Gesù ed uno più giovane ma ancora un po' acerbo nella parte di Pilato, due tenori, senza lode né infamia, due contralti, tra cui un contraltista dalla voce potente, e due soprani, con il secondo degno di nota per la bella voce ed una partecipazione oltre lo spartito. Gli strumentisti se la sono cavata, i violinisti con qualche imperfezione, meglio le parti gravi, abilissimi i due flautisti, bravi anche gli oboisti (uno dei quali era una "vecchia" conoscenza). Il direttore all'organo positivo ha dato un'interpretazione piuttosto scolastica ma godibile. La scelta di usare strumenti d'epoca è lodevole per l'impegno richiesto, ma il tempo perso per accordarsi, gli spostamenti ed i cambi richiesti per una sola aria, le inevitabili brutture d'intonazione e di suono non mi hanno trovato pienamente concorde, soprattutto considerando l'intento del concerto, ossia di meditazione quaresimale, come spiegato brevemente dal poliglotta frate all'inizio, quindi non di ricostruzione storica della prassi esecutiva ai tempi di Bach (in tal caso avrebbero anche dovuto eliminare tutte le donne dalla compagine, visto che all'epoca non erano ammesse in cantoria, né come cantanti né tantomeno come strumentiste!).

Mi ha fatto piacere vedere la chiesa piena, anche se al solito i giovani latitavano (non tra le fila dei musicisti, per fortuna). L'organizzazione è stata buona, una volta tanto nelle esperienze cittadine, ma ho trovato triste scoprire che il programma costava €3, extra rispetto al biglietto già caro di €20. Per questo motivo mi sono rifiutata di prenderlo, conoscendo già bene il testo della Passione. Di conseguenza non ho i nomi degli interpreti e mi guardo bene dal cercarli su internet. Avrebbero potuto mettere a disposizione la locandina completa all'ingresso e fornire a pagamento il testo con la traduzione. Pazienza, tutti siamo perfettibili. Per il resto è stata la migliore chiusura immaginabile per un venerdì di Quaresima.

Musica poco audita

Il 28 novembre 2015 era programmato un concerto che poi fu annullato e spostato causa minaccia terroristica in città. Allora non presi i biglietti, ma stavolta non ho potuto farne a meno per animare un po' la mia vita culturale in attesa del ritorno a Vienna. Si è unita un'amica e tra coro e spettatori ho ritrovato mezza comunità tedesca. Di cosa si trattava, dunque? Di un concerto "natalizio", con brani meno noti di autori altrettanto poco frequentati in genere, con la Corale Reale Protestante, l'orchestra Quartz, con la direzione di Daniel Burdet, tenutosi ieri sera nella chiesa del Collegio San Michele. Il programma ha incluso: il brano orchestrale "Hypocondrie" e le Litanie Lauretane Salus Infirmorum per soli, coro ed orchestra di J.D. Zelenka (1679-1745) e l'Oratorio di Natale di J.H. Rolle (1716-1785).

La chiesa in questione, foto da Wikipedia.
L'inizio non è stato brillante, con qualche sbavatura evidente da parte degli archi ed una direzione forse troppo esasperata per un brano simile. L'orchestra si è ripresa benissimo per le Litanie, staccando tempi fantastici. Il coro, nonostante lo sbilanciamento tra voci femminili e quelle maschili, si è dimostrato molto buono, per questo tipo di repertorio. Solo in alcuni punti in cui i numerosi soprani puntavano in alto si sono sentite delle carenze vocali. I solisti hanno potuto essere apprezzati in numerose arie e recitativi solistici sia in Zelenka sia in Rolle. Il soprano Helga Van Campenhout ha una voce molto bella ed una vena drammatica notevole. Purtroppo, forse a causa dell'acustica dell'ambiente, mi è sembrato che mancasse un'interpretazione unitaria, con una frammentazione eccessiva del fraseggio. Il contralto Martine Gaspar ha un timbro naturalmente scuro e rotondo, ma più di qualche punto sembrava calare, cosa inammissibile per una solista. Come detto, magari colpa dell'acustica o magari non stava benissimo. Il tenore Nicolas Bauchau nella media, mentre il basso-baritono Thierry Marchant aveva un timbro un po' chiaro per le parti di basso, nonostante talvolta sembrasse far fatica ad arrivare.
immagine da qui
Avevo sentito pochissimo di Zelenka precedentemente. Il brano orchestrale era armonicamente e ritmicamente molto interessante. La parte corale mi ha fatto l'impressione di un Vivaldi con influenze sassoni, con solenni cadenze "alla Händel". Onestamente da un coevo di Bach mi aspettavo un pochino di più. Di Rolle non conoscevo nulla. Questo Oratorio ricorda un po' Haydn, che anticipa, e comunque tutto quel periodo galante che, onestamente, mi sta sullo stomaco. La cosa che mi piace meno di questo stile è la prevalenza della forma sul messaggio. Il testo indica più o meno la forma da adottare, ma non ho trovato quell'attenzione alla parola che aveva fatto scuola nei decenni precedenti.

Il concerto è stato comunque un successo ed un'esperienza interessante. Il coro merita di essere riascoltato. Proporre un repertorio poco noto ma non per questo meno degno di essere affrontato è stata una bella idea, oltre che coraggiosa, rischiando di spaventare il pubblico. L'organizzazione dell'evento era "alla Bruxelles", come sempre, ossia da ulcera allo stomaco. Hanno cercato di fare le cose per bene, numerando i posti, anche se quando uno comprava il biglietto non poteva scegliere. Poi ovviamente solo la sottoscritta ed i tedeschi sedevano ove prescritto. A distribuire i programmi hanno messo due ragazzine che parlavano solo francese e non particolarmente sveglie, tanto che facevano passare chiunque, senza controllare il biglietto. Il solito caos. La mezz'ora di intervallo è stata ancora più caotica, con coristi ed orchestrali che già salutavano amici e conoscenti. Niente bis e niente "bicchiere dell'amicizia" al termine del concerto. Come dicevo, è Bxl. Accontentiamoci, è stata una piacevole serata e culturalmente stimolante.