Metti una sera in conservatorio a Vienna

Dopo le consuete 10-11 ore in ufficio, qualche sera fa sono andata all’università musicale per assistere ad una prova pre-laurea di una violinista ed una violista. Ho conosciuto la violinista, italiana, durante le riprese di un documentario in cui entrambe abbiamo partecipato come comparse. Stanchezza e fame (non avevo cenato) sono passate all’istante appena varcata la porta di quel solenne edificio tutto illuminato in una fredda e buia serata d’autunno. Nell'aula c'erano già altri amici e conoscenti delle due laureande, tutti musicisti e di varie nazionalità. Il programma delle due ragazze era impressionante, specialmente per la violinista. Oltre a qualche solo, erano previsti anche passi di concerto accompagnati al pianoforte da una collega. Per un'ora e mezza sono stata trascinata nelle spire di Schubert e poi sulle vette di Brahms, passando per il ritmo travolgente di Bartok e la spensieratezza intelligente di Mozart. Un vortice senza fine. Anche di ricordi, dei tempi del conservatorio, i miei vent’anni, delle lezioni di solfeggio che impartivo dopo il diploma (complice la lavagna pentagrammata) e della mia prima esperienza viennese, quando giravo ovunque con la bici come questi ragazzi seguendo tutti i concerti gratuiti offerti dalla città. Alle 21:30 abbiamo dovuto scappare perché altrimenti non avrebbero più concesso aule per studiare alle due ragazze (sempre meglio del Pollini ove ai nostri tempi alle 18:30 sbattevano fuori se non c’era l’insegnante e trovare un’aula per studiare era sempre un’impresa impossibile). La serata è proseguita con una birra internazionale e musicale, in un locale pieno di fumo (sì, qui è ancora ammesso) e di studenti del conservatorio. Una tipica serata viennese bohemien.

© Universität für Musik und darstellende Kunst Wien
Dal punto di vista musicale, ho avuto l'occasione di riflettere sul nostro modo di fare musica. Entrambe le ragazze hanno dimostrato una buona preparazione di base, eppure ognuna rispecchiava l'origine. La violista francese gigioneggiava, le veniva naturale. Il repertorio romantico l’aiutava molto, un po’ meno Bartok. Nella violinista italiana, invece, trasparivano l'emozione e l'atteggiamento ipercritico verso se stessa. Ha mostrata un'abilità tecnica impressionante, con minime sbavature che non sarebbero nemmeno state notate se lei stessa non ci avesse dato tanto peso. Acciderbola, mi ci sono riconosciuta! I nostri insegnanti (anche in campo scientifico) ci hanno instillato l’insicurezza, talvolta per la loro ansia da prestazione, talvolta per poter mantenere il loro potere su di noi, talvolta per frustrazione (senza una carriera concertistica in corso) e talvolta per desiderio di stimolare l'allievo a dare il massimo e spiccare il volo. Finché non s'incontra l'insegnante che ci dà fiducia o non si raggiunge da soli la pace con se stessi, ci fissiamo degli standard di perfezione che proprio perché irraggiungibili umanamente ci lasceranno sempre insoddisfatti delle nostre performance. Nel caso della violinista, senza motivo, perché anche a livello interpretativo ha mostrato una maturità di tutto rispetto, decisamente maggiore di quella della collega francese, che suonava tutto più o meno con lo stesso approccio. Nel primo movimento del concerto di Brahms mi è venuta letteralmente la pelle d’oca! L'esito dell'esame le ha riconosciuto il talento che già in una semplice prova casalinga aveva mostrato. Mi auguro un giorno di sentirla per radio o meglio ancora dal vivo al Musikverein come solista.

Restando in tema autocritica, abbiamo il terrore del giudizio degli altri ma i primi insoddisfatti siamo noi stessi. Ci perdiamo il piacere di far musica, non ci rendiamo conto di essere dei privilegiati. Essere stata invitata ad una serata simile per me è valso più di una cena a base di pesce nel migliore ristorante della città. Eppure temo che solo chi abbia pianto e sudato cercando di sistemare un passaggio tecnico complesso, solo chi ha dovuto aspettare anni prima di suonare un pezzo decente e solo chi non ha smesso mai d’imparare e guarda con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino qualsiasi nuovo spartito possa apprezzare fino in fondo un'occasione simile e godersela pienamente. Il vantaggio della musica è che può essere goduta a vari livelli anche senza averla studiata, nonostante potendola capire ci si trova come dopo aver imparato una lingua straniera e finalmente poter leggere un libro o vedere un film in lingua originale. In questo caso particolare non era tanto il comprendere il linguaggio musicale l'aspetto fondamentale per apprezzare la serata, quanto piuttosto la condivisione dello sforzo, degli anni, dell'ansia dell'esame, della paura del parere di chi ci conosce, etc. ossia del mettersi a nudo di fronte ad un pubblico. Tutto sommato, a posteriori, il rinfrescarsi di un'emozione complessa che ha lasciato una cicatrice di ricordi positivi e dolorosi allo stesso tempo.

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