Addio!

Foto Metzner, CC BY-SA 3.0, qui
Questo è il mio ultimo post su questo blog. Continuerò ad andare per concerti ed a suonare, ad incuriosirmi per nuovi strumenti ed a vedere film con tema musicale, ma non ne scriverò più qui. I miei quattro lettori sanno come la penso, quindi finirei col ripetermi. Quest'anno ho festeggiato 10 anni esatti dal mio diploma in organo. Sin da quando a sei anni d'età m'innamorai di questo strumento vedendo e sentendo in TV Karl Richter suonare Bach ad Ottobeuren, il mio sogno ed obiettivo era imparare a suonare l'organo. Attraverso momenti entusiasmanti, soddisfazioni, lacrime, sudore ed infinite discussioni sono giunta a coronare il desiderio di bambina con un pezzo di carta con la stessa voracità d'imparare del primo giorno. Grazie ai miei insegnanti, anche quando mi hanno reso la vita difficile con le loro pretese o i loro commenti critici. Voglio ricordare i più importanti per la mia crescita nella musica (in ordine sparso): Claudio Ambrosini per le lezioni di vita, Ugo Armano e Corrado Loffredi per la pazienza col pianoforte nonostante detestassi lo strumento, Emanuele Pasqualin per la capacità di coinvolgere dirigendo, Alex Kirschner per la fiducia in me riposta nonostante la mia pigrizia nello studiare il solfeggio e la mia irrazionalità nei concerti, Gianluca Libertucci per avermi permesso di ottenere l'agognata carta e Francesco Finotti per avermi insegnato gli strumenti per esprimere quella che sono (oltre ad aver sistemato un po' la mia carente tecnica). Ovviamente un grazie va anche a tutti gli altri insegnanti e colleghi incontrati nel mio percorso, con cui ho scambiato magari poche parole, ma che hanno in ogni caso contribuito al mio sviluppo, ed ai parroci, italiani e non, che mi hanno permesso di "giocare" gli strumenti di cui erano responsabili.

Come Abschied, elenco di seguito alcune incredibili esperienze fatte in questi dieci anni, una volta uscita dal conservatorio e poco dopo anche dall'Italia.
Bavokerk, Haarlem
- Ho suonato organi di ogni periodo storico e stile in Olanda (Haarlem), Belgio (Bruxelles) ed Austria (Vienna). Ne ho sentiti e visti molti altri, dalla Germania alla Norvegia, dagli USA al Giappone.
- Ho accompagnato culti luterani e messe cattoliche in lingua italiana, tedesca e francese. Ho accompagnato cori di lingua tedesca anche in concerto, pure suonando il basso continuo in un ensemble con strumenti d'epoca. Mi sono esibita in duo con altri strumenti (dal violino al corno delle alpi, dal flauto traverso al violoncello) e strumentisti di diverse nazionalità.
- Ho insegnato musica nella mia lingua ed ho preso (e continuo a prendere) lezioni di musica in tedesco, esplorando il canto, il flauto dolce, il flauto traverso ed il mandolino.
- Ho conosciuto organisti da tutto il mondo, con molti di loro sono rimasta in contatto. Ho compreso quanto universale possa essere la musica e quanto sia più facile trovare un organista che la pensi come me dall'altra parte della Terra rispetto al mio conservatorio.
- Ho fatto da registrante ad organisti celebri, lezioni sul rapporto uomo-musica più che di tecnica ed interpretazione.
- Ho preso parte come corista all'esecuzione di cantate di Bach, un sogno diventato realtà.
- Ho illustrato il funzionamento dell'organo a canne a colleghi ed amici di mezza Europa, facendo loro scoprire non solo uno strumento musicale ingiustamente sottovalutato ma soprattutto un lato di me che non conoscevano.
- Ho accompagnato matrimoni, battesimi e (soprattutto) funerali, l'intero ciclo della vita.

Esperienze che continuano e che spero non smettano mai. Sono curiosa di scoprire cosa mi riservano i prossimi 10 anni. Sempre cercando di migliorarmi, con il poco tempo a disposizione, perché la mia occupazione principale è in un altro settore (ricerca scientifica). Appena indosso le mie scarpe da organo e mi siedo sulla panca viaggio in un'altra dimensione ove non esistono fatica e stress ma solo intimo piacere nel gustare la bellezza di un suono o di una soluzione compositiva. Anche questa consapevolezza è venuta col tempo e con le esperienze e confido si raffini ulteriormente con l'esercizio ed il passare degli anni.

La sottoscritta al Pollini. Foto di F. Marchionda.
Infine, a chiusura di questo blog, non posso non ringraziare chi mi letta, fedelmente o occasionalmente, chi ha commentato, soprattutto quando di parere diverso dal mio (mi riferisco in modo particolare ad una discussione storica con un regista, che mi ha davvero onorata con il suo passaggio). Un ringraziamento virtuale a Rai Radio3, che mi ha "educata" nell'adolescenza, facendomi sognare di diventare una critica musicale professionista, ed a BR-Klassik, che continua ad accompagnare le mie domeniche mattina con le cantate di Bach. Per tutti, arrivederci al prossimo concerto, per commentare di persona quanto udito!

Stefano saluta Vienna

La formazione viennese del mio amico compositore, direttore d'orchestra, violinista ed organista è giunta al termine con il diploma (di laurea) in direzione corale alla locale università della musica (mdw). L'esame si è svolto in due tempi, con una prova privata ed un concerto pubblico. Prima, però, c'è stato il saggio di fine semestre della classe di direzione corale del M.o Lang (direttore del coro della Staatsoper), con gli allievi che si sono alternati nel dirigere il Webernchor nei Vespri di Mozart, estratti dalla Petite Messe Solennelle di Rossini, del Salmo 42 di Mendelssohn e dello Stabat Mater di Poulanc.

Non solo l'evento non era segnalato sul sito della mdw, ove invece figurano i saggi di tutti ma addirittura non c'era nemmeno un cartello sul posto. La scarsa pubblicità ha portato ad un pubblico esterno di forse quattro o cinque persone. Un vero peccato! Il coro non era eccezionale, almeno vocalmente parlando, nonostante sia composto da semi-professionisti, ma a maggior ragione ha mostrato come uno specchio il lavoro dei vari direttori. Si percepiva a pelle chi doveva ancora crescere, chi aveva rifinito nei dettagli il brano, chi si sbracciava teatralmente ma non aveva idea di cosa stesse facendo cantare, chi comunicava col coro, etc. Nonostante la sala era calda ed il repertorio lungo, il tempo è trascorso piacevolmente. Stefano è progredito parecchio dall'ultimo saggio semestrale cui assistetti, ora ha il pieno controllo dei cantori, dello spartito e del gesto. Ha fatto musica nel vero senso della parola. In un buon direttore di coro ci sono due aspetti fondamentali: il carisma, ossia l'autorevolezza verso i coristi, e l'interpretazione, ossia la comprensione musicale. Purtroppo sono entrambe cose che si costruiscono a fatica se uno non le possiede per talento innato. Ho notato che qualche studente, però, si accontenta di avere il carisma e non si spreva per lavorare sull'interpretazione musicale. E la tecnica? Quella s'impara, la tecnica è un mezzo, è usare il muscolo corretto al momento giusto, ma per conseguire un diploma presumo che la tecnica sia assodata (cosa che talvolta non accade nei conservatori italiani nemmeno per gli strumentisti, purtroppo).

La chiesa. Qui accompagnai la messa per la prima volta a Vienna.
Una settimana dopo, il 29 giugno, c'è stato il concerto di diploma, in cui Stefano ha diretto nuovamente il Webernchor in un repertorio a cappella alquanto complesso, tra Schütz, Bach e Mendelssohn ad 8 voci e Brahms e Distler. Tutta musica sacra, con un ideale percorso musico-culturale, musica tedesca e... luterana. Ottima scelta, se non fosse che per carenza di aule alla mdw l'esame si è svolto nella chiesetta barocca delle Suore Salesiane nei pressi del Belvedere e le sorelle hanno dovuto approvare il programma. Il concerto è andato bene, il rimbombo della chiesa ha forse aiutato tanto quanto la campanella delle suore ha distratto, il pubblico era un po' più numeroso tra insegnanti, amici direttori e musicisti, amici scienziati (portati da me) ed ovviamente i suoi genitori. Ha preso la lode, pienamente merita, soprattutto per l'enorme crescita fatta in così poco tempo.

Ora Stefano Maria Torchio torna a Padova. Non ha mai amato Vienna. Si era illuso fosse la fonte della scienza musicale ed ha trovato tradizionalismo, razzismo e chiusura mentale (con rare brillanti eccezioni). Non ha sentito il sostegno reciproco tra studenti che sperava, essendo comunque una comunità di squali (anche in questo caso le eccezioni si contano su una mano). Non vede opportunità nell'immediato futuro (un collega ha avuto un colpo di fortuna ed ora lavora alla Staatsoper, ma sono eventi che difficilmente capitano due volte), preferisce quindi rientrare in Italia e raccogliere i pensieri prima del prossimo passo. Non si può trascorrere una vita a studiare, ad un certo punto bisogna produrre. Gli faccio i migliori auguri di una carriera splendente, come direttore d'orchestra, di coro e compositore. Gli auguro inoltre di trovare il suo posto, sia inteso come luogo in cui vivere e sentirsi bene sia come posizione all'interno della storia della musica. Se questo sia un addio o un arrivederci saranno i posteri a dirlo.

Lunga notte delle chiese 2017

Ci risiamo. Sono tornata a Vienna e quindi ho ripreso la tradizione della corsa tra le chiese del centro per sentire musica di vari secoli e vedere ambienti e riti di diverse confessioni. Quest'anno il mio programma prevedeva momenti musicali in chiese vetero-cattoliche, cattoliche romane, luterane, calviniste e greco-ortodosse. In realtà ho rinunciato ad alcuni eventi per godermi meglio quelli scelti e la compagnia di alcuni amici che si sono uniti per parte del giro.

Maria am Gestade, ove ho iniziato e concluso la serata musicale
Si iniziato alle 17:50 con le campane di tutte le chiese in tono festoso. Ho visitato la Salvatorkirche, della chiesa vetero-cattolica. Oltre ad un organo storico, l'attrazione della serata era la possibilità di suonare le campane storiche, le sue corde scendono fino in cantoria. Ho proseguito nella chiesa di Maria am Gestade, ove ho seguito un concerto per flauto dolce contralto ed organo (Vivaldi). Ovviamente il flauto è stato amplificato, altrimenti sarebbe stato completamento coperto dall'organo, il cui suono è così simile. In passato ho accompagnato un flauto dolce (sonata di Cima) per studio, ma effettivamente l'accoppiata non funziona bene, meglio l'accompagnamento con un liuto con un clavicembalo. Al contrario, il flauto traverso, più potente, o un sopranino, molto più acuto, possono dare maggiori soddisfazioni, come sperimentato a Bxl con una flautista (Händel e Bach). Prima delle 19:00 ero nella Schottenkirche per l'Opus ultimum di Schütz, ossia il Salmo 119. Canto del cigno di un autore che apprezzo molto. Il coro, accompagnato al basso continuo dal direttore, non è particolarmente eccezionale, ma la buona volontà in un brano non facile (in doppio coro) si è notata, nonostante le numerose insicurezze nell'intonazione. Alle 20:00 mi sono spostata nella Michaelerkirche per sentire il claviorgano. Avevo già incontrato questo strumento anni fa a Schio in una rassegna organistica. Ottimo esecutore, repertorio azzeccato (Frescobaldi e Froberger) ed atmosfera raccolta nella cappella della Croce. A seguire il consueto assaggio dell'organo storico. Per le 21:00 ero nella Votivkirche per assistere finalmente ad una presentazione del celebre organo Walcker con concerto, invece la visita era limitata a poche persone che si erano già "prenotate", in chiesa era in corso un concerto più o meno jazz (non male, ma l'ambiente non si prestava a quel tipo di amplificazione) e non avevo voglia di aspettare solo per sentire da lontano il suono dello strumento che conoscevo, essendo stata questa la mia parrocchia durante il primo periodo a Vienna. Delusa per il cambio di programma inaspettato, ho proseguito assieme ad un collega verso la chiesa calvinista della città, ove ci hanno raggiunto altri amici per un concerto dal titolo interessante "Ich trink'Wein". Un ensemble vocale (tre coristi per voce), diretto da una ragazza che sembrava molto più giovane dei coristi, ha eseguito vari brani profani a cappella, di diversi secoli, che avevano come tema il bere, il cibo o comunque il godersi la vita. Cose cantabili in chiesa in ogni caso. Nulla di scandaloso. Concerto piacevole, dominato dall'entusiasmo della giovane direttrice. Niente di eccezionale ma il lavoro fatto era evidente. Essendo giunta in chiesa con un certo anticipo, ho avuto modo di sentire un coro coreano, ineccepibile dal punto di vista dell'impostazione della voce e dell'intonazione, ma totalmente privo di quella sensibilità che rende il far musica un piacere. La scelta successiva era tra musica barocca francese nell'adiacente chiesa luterana della città, ove ebbi il piacere e l'onore di prendere parte all'esecuzione di alcune cantate di Bach durante il mio primo soggiorno a Vienna, ed il ritorno nella chiesa di Maria am Gestade per un concerto gotico. Ha vinto questa seconda opzione per una suggestiva conclusione della serata con inni gregoriani, medievali, Dufay e Perotinus in un ambiente illuminato solo da candele, eseguiti abilmente dall'ensemble maschile di vox gotica.

Bilancio finale. Piacevole, senza troppo entusiasmo. All'inizio la sorpresa per un'iniziativa simile mi faceva correre da un posto all'altro per poter sentire il più possibile, ma ormai conosco le chiese ed anche molto di quanto proposto. Così ho rinunciato ai canti ortodossi, alla tradizionale Messa di Bruckner a Santo Stefano, alla musica nell'Hofkapelle ed al coro di voci bianche nell'Annakirche. Ho rinunciato alle chiese al di fuori del primo distretto (eccetto la Votivkirche) per non perdere troppo tempo negli spostamento. Ho rinunciato alle visite guidate, avendo già visto la torre del duomo e molte delle varie cripte. Mi sono goduta di più la serata ed i pochi concerti prescelti. L'unica nota stonata è stato l'appello alle offerte in alcune occasioni, per gli artisti o per l'ambiente. Sono a favore di un contributo, specialmente per gli artisti, ma vedo questa iniziativa annuale come l'occasione di mostrare quanto le chiese possano essere un posto ove star bene, aperto a tutti e secondo la sensibilità (spirituale) di ognuno.

L'organo "da" chiesa?

Inizialmente volevo recensire il tradizionale concerto del Lunedì dell'Angelo ad Abano, dal programma denso, volevo raccontare di come il M.o Finotti abbia analizzato Liszt fino a rasentare la frammentazione, di come abbia mostrato la bellezza e la genialità degli Schizzi di Schumann con soluzioni tecniche che hanno fatto apprezzare anche la versatilità dello strumento, di come abbia restituito la dolcezza e l'intimità di un Franck troppo spesso ridotto a mere interpretazioni romantico-liturgiche ed infine di come abbia esaltato la grandezza della fuga tripla BWV 552. Non lo faccio, perché la presentazione del concerto ed un recente episodio mi hanno fatto riflettere su come vediamo l'organo strumento musicale.

La signora che ha introdotto il concerto si era preparata e conosce bene sia i brani sia l'organista. Eppure ne ha dato un'interpretazione religiosa, in tema pasquale, che sinceramente mi è risultata un po' forzata. Correttamente ha giustificato il concerto in chiesa con una bella spiegazione, legando i brani come in un percorso da Triduo. Tutto giusto e molto bello. Ma i pezzi suonati non avevano alcuna indicazione liturgica o pure minimamente religiosa, tranne forse la fuga di Bach, tra i pochi casi di composizione libera associata ad un repertorio luterano. Il M.o Finotti insiste da sempre che persino i corali di Franck non hanno alcuna connotazione sacra. Figurarsi gli schizzi di Schumann! Se di teologia si tratta, è di livelli altissimi, al di sopra dei periodi liturgici.

la sottoscritta, non in chiesa
L'altro episodio che mi ha fatto riflettere è stato il commento di un'amica austro-ucraina, di tradizione ortodossa, che è venuta a trovarmi in cantoria in una parrocchietta di periferia a Vienna in cui ho accompagnato la messa. Per mostrarle l'organo, ho accennato diverse composizioni, tutte barocche (perché quello avevo sotto mano, sigh!), di diverse provenienze geografiche, cercando di giocare con i registri per differenziarne le sonorità. Lei ha esclamato che un organista è sprecato solo per accompagnare i canti! Ossia che lo strumento ed il musicista avrebbero delle potenzialità infinitamente maggiori di quanto venga richiesto dal servizio liturgico. Effettivamente nella chiesa luterana la figura dell'organista è valorizzata maggiormente, ha più spazio per improvvisazioni e preludi sui corali, composizioni libere, meditazioni, etc., ma resta sempre legato al repertorio "sacro".

Così mi è tornato in mente un interessantissimo e pessimistico articolo del M.o Finotti di revisione sulla situazione dell'organo a canne e dell'organista in Italia. Non c'è niente da fare, per noi l'organo è uno strumento esclusivamente da chiesa e l'organista un musicista inferiore rispetto ai colleghi perché relegato al repertorio liturgico. Per sentire un concerto d'organo bisogna andare in chiesa e quanto viene suonato deve essere prettamente legato al sacro. Recentemente mi sono interessata al mandolino, scoprendo un repertorio vastissimo ed uno strumento piuttosto versatile, eppure nell'immaginario collettivo il mandolino è lo strumento d'eccezione per la canzone italiana, o meglio, napoletana. Vittima di luoghi comuni limitanti come l'organo a canne. Ecco, tornando a questo strumento, sarebbe da ricordare che non è nato nelle chiese, anzi è nato prima della Chiesa, sembra venisse addirittura usato nei circhi romani durante gli spettacoli di gladiatori, quanto di più lontano dalla liturgia si possa pensare. Non hanno tutti i torti gli americani, dunque, a costruire enormi organi nei centri commerciali. Per molti compositori del XIX e XX secolo, l'organo era uno strumento dell'orchestra, né più né meno del corno. Tanto che appena varcate le Alpi troviamo quasi tutti i teatri dotati di un organo a canne, vero, non di un elettrofono d'emergenza.

Bisogna cambiare mentalità. O meglio, bisogna farla cambiare. Come? Facendo scoprire lo strumento. Al concerto di Pasqua ho invitato mia cugina, che da piccola ha preso lezioni di pianoforte, quindi non è affatto digiuna di musica. Per fortuna è arrivata un po' in ritardo, perdendo l'introduzione, quindi ha ascoltato il concerto senza il filtro liturgico e le è piaciuto, come se fosse andata a teatro a sentire un'orchestra. Molti dei miei colleghi di lavoro non hanno mai visto un organo da vicino, non sanno come funzioni e sono abituati a sentirlo in chiesa, almeno quelli che una volta all'anno vi mettono piede. Per questo mi piace invitarli a venire a trovarmi, magari quando studio e non alle messe. Non sono affatto una brava organista, ma spero di stimolare almeno la curiosità per uno strumento potenzialmente così versatile. Non c'è bisogno di 4 manuali e di 70 registri per spaziare dalla musica antica a quella contemporanea, mostrando i colori a disposizione e la libertà mentale dei compositori, loro sì svincolati in gran parte dal condizionamento liturgico.

Parsifal: l'oratorio incompreso

Oops, l'ho fatto di nuovo. Come recitava una banale canzone pop di qualche decennio fa ormai. Sono nuovamente andata a sentire un'opera di Wagner. Dopo il "Tristan und Isolde" mi sono concessa il "Parsifal", l'ultima fatica del compositore.

Il Parsifal è un'opera lunga (ca. 5h30, pause comprese), fortemente mistico-religiosa, tanto che a Vienna tradizionalmente viene eseguito nella settimana santa. Questa volta eccezionalmente la premiere è avuto luogo a fine marzo, perché l'opera si presentava con un nuovo allestimento. La locandina prevedeva cantanti di tutto rispetto (Geral Finley nella parte di Amfortas, René Pape in quella di Gurnemanz, Christopher Ventris nel ruolo del titolo e Nina Stemme come Kundry), diretti da nientepopodimeno che Semyon Bychkov.

BR-Klassik è più pesante di me nella critica (link)
Musicalmente una meraviglia! Come detto per il Tristano, Wagner trascende il concetto di opera teatrale, di dramma in musica, creando un flusso di coscienza con le note, o meglio con le armonie. In questo caso, Wagner ha cercato di rappresentare il senso del sacro, del mistero religioso, con momenti chiave della vita cristiana (la Comunione alla fine del primo atto, la tentazione nel secondo, il perdono con la lavanda dei piedi, il battesimo e la sacra unzione nell'ultimo, che si svolge il venerdì santo). Ad essere sincera, ho trovato alcuni lunghi monologhi puramente narrativi non particolarmente significativi, ma non succedendo molto il scena comprendo che ci sia la necessità di far conoscere all'uditore gli antefatti.

L'edizione ascoltata ha avuto una direzione magnifica. Non è mancata la pelle d'oca. Romanticismo puro, con una profondità travolgente, grazie agli otto contrabbassi e (stavolta) alla perfezione del settore fiati. Nina Stemme superlativa, sia vocalmente sia come attrice. Buona interpretazione anche quella di René Pape, nonostante si sia trattata di una sostituzione quasi all'ultimo momento. Più che discreto Christopher Ventris, anche se non ha raggiunto le vette del Gould del Tristano. Buoni gli altri comprimari. In taluni punti l'orchestra ha coperto il canto, forse perché i cantanti si trovavano in un registro non ottimale, forse per un coinvolgimento eccessivo del direttore o forse semplicemente perché quest'opera è stata pensata per il teatro di Bayreuth, con l'orchestra nel golfo mistico. Il pubblico, numeroso come sempre, ha mostrato di conoscere bene la tradizione e la composizione, non applaudendo alla fine del I atto ed aspettando che calasse il sipario per l'applauso finale, anche in segno di rispetto per l'aspetto quasi mistico della composizione. In certi punti si respirava più sacralità che nella maggior parte delle nostre chiese durante le messe domenicali...

La regia di Alvis Hermanis merita un commento a parte. L'intera vicenda, originariamente ambientata all'epoca dei cavalieri che custodivano il Sacro Graal, è stata trasposta nella Vienna dei primi del '900 con le architetture di Otto Wagner.  L'idea di giocare con l'omonimia di questi due grandi artisti è decisamente infantile. Ciononostante la regia era scenograficamente maestosa e ben fatta. Ambientare il tutto in un ospedale poteva pure vere un senso, ma non sminuire il senso mistico con una clinica psichiatrica, in cui il Graal è una riproduzione del cervello che s'illumina a tratti e la narrazione proiettata in gotico come fosse il racconto di un folle senza relazione con la realtà. A mio parere, il regista ha mostrato di saper fare un buon lavoro ma di aver completamente travisato il senso dell'opera. O di averlo voluto cambiare, ma senza riuscire a comunicarlo efficacemente al pubblico.

Non sparate sul pianista

Domenica scorsa ho avuto modo di sentire un concerto alla Klaviergalerie. Si tratta di uno spazio espositivo ove vengono riparati e venduti pianoforti ed ove studenti possono noleggiare aule per esercitarsi a prezzi modici. Quest'area comprende anche una sala ove vengono quasi regolarmente organizzati concerti. In genere ad ingresso gratuito ed offerta libera.

un'immagine dal web della Klaviergalerie
Domenica la pianista Anna Magdalena Kokits ha presentato una selezione di composizioni per pianoforte per periodo romantico ed il gruppo costituito da Giulia Brinckmeier (violino), Bas Jongen (violoncello) e Julian Yo Hedenborg (pianoforte) ha eseguito il Trio op. 1 n. 2 di Ludwig van Beethoven.

Ho sentito solo parte delle prove della pianista solista, ma ne ho avuto un'ottima impressione. Il pianoforte diventava un'estensione delle sue dita nell'interpretazione di un repertorio complesso. Il trio, di cui conoscevo la violinista (più volte citata in questo blog) ha dato una prova magnifica, sottolineando con leggerezza tutte le sfaccettature della composizione ed i repentini cambi di tempo e di umore. Unico difetto forse il "volume" del pianoforte, che di sovente sovrastava gli archi. Mi è pure venuto il sospetto che fosse in qualche modo voluto e non da imputare allo strumento o alla posizione. Il pianista in questione fungeva da organizzatore o almeno da portavoce e presentatore del concerto. In questa funzione ha cacciato la sottoscritta, arrivata con un po' di anticipo, ed ha fatto attendere lo scarso pubblico in piedi sulle scale, iniziando il concerto con circa 10 minuti di ritardo. Questo comportamento ha stonato letteralmente con l'idea di un piacevole pomeriggio musicale in un ambiente quasi familiare. Lo stesso pianista, al termine del concerto si è lanciato in un bis da solista, senza annunciare il brano. Se bis doveva essere, avrebbero dovuto farlo tutti. Tra l'altro, avrei volentieri sentito il talentuoso violoncellista in un assolo. Nel famigerato bis, il pianista ha mostrato di essere tecnicamente abile ma di non avere la sensibilità della collega che l'aveva preceduto. Considerando la sua evidente ansia da prestazione, avrei evitato volentieri un confronto diretto.

Wagner!!!

Finalmente c'è stata la mia prima volta con un'opera di Wagner dal vivo, alla Staatsoper di Vienna, con il Tristan und Isolde. Ciò è stato possibile grazie ad un regalo dei colleghi in Belgio, che mi ha permesso di prendere dei posti a sedere (non avrei retto cinque ore in piedi). Vi sono andata con due colleghe dell'università di Vienna, tra cui un'austriaca che per lungo tempo ha lavorato proprio all'opera come maschera e che conosce a menadito i lavori di Wagner.

foto: wiener staatsoper / ashley taylor
Cinque ore di opera, tra musiche e due pause. All'inizio ero preoccupata, reggerò? Soprattutto perché la trama è piuttosto semplice (come ha detto qualcuno, non succede praticamente nulla per gran parte del tempo) e non c'è una sola aria cantabile e memorabile. In realtà si tratta di un concetto di opera completamente diverso dalla classica opera italiana. Un flusso continuo di musica che descrive l'evoluzione di un sentimento, che racchiude la vita, il tormento, la passione e la morte. In Verdi le trame sono complicatissime, tanto che in taluni casi fatico a ricordare tutti i passaggi (vedi Trovatore o Forza del destino), ma abitualmente l'azione scenica si ferma per far partire la cabaletta che magari viene ripetuta una o più volte a seconda dell'abilità del o della cantante. In Wagner, nato nello stesso anno di Verdi, tutto questo non c'è. Si nota già dalla regia scarna, dai costumi semplici, i movimenti limitati. Potrebbero benissimo eseguire le opere di Wagner in forma di concerto, non cambierebbe nulla. La protagonista è la musica.

celebre caricatura del pubblico wagneriano dopo l'opera
 In questa edizione, con la regia di David McVicar, riprendendo una produzione ormai storica, lode a Stephen Gould nella parte di Tristan, davvero superlativo, nonostante per la prima volta in questo ruolo a Vienna. Voce molto bella e soprattutto duttile. Meno brillante, a mio parere, il soprano Petra Lang, Isolde, anche lei debuttante in questo ruolo a Vienna. Meglio Sophie Koch nella parte di Brangäne, ma forse anche più rilassata perché in un ruolo meno impegnativo.  Nella media gli altri cantanti. In ogni caso ci vogliono una preparazione particolare ed una resistenza non da poco per affrontare Wagner. Difatti non ci sono giovani cantanti ad affrontarlo. Ci si immagina i due protagonisti come dei focosi adolescenti, invece ci si trova davanti degli imponenti cinquantenni o quasi. Wagner è da ascoltare, non da vedere. La fatica fisica e mentale di portare avanti quest'opera grava anche sulle spalle del direttore. La melodia tende all'infinito, senza mai trovare riposo in una cadenza perfetta. È difficile riuscire a sostenere tale tensione continua. Non si tratta di Mozart. L'orchestra ha avuto un paio di palesi defaillance che probabilmente verranno superate nelle repliche, si spera. Ciononostante Mikko Franck ha dato una buona prova. Bella l'idea di mettere il coro maschile nella balconata dell'imperatore, al buio, con il direttore con una bacchetta luminosa ed uno schermo per seguire il direttore generale, invece di avere il coro dietro le quinte.

Ci sarà anche una seconda volta con Wagner? Spero proprio di sì, magari con la premiere di Parsifal, sempre alla Staatsoper. Devo prepararmi, però. Perché un'opera di Wagner lascia sempre distrutti nel fisico e nell'animo, anche chi l'ascolta, non solo i cantanti. È un'esperienza faticosa ma appagante.

Il concerto (il film)

Nel mese di febbraio non sono andata ad alcun concerto degno di nota, quindi in attesa di sentire finalmente un'opera di Wagner dal vivo, parlo di un film che ho visto qualche mese fa e che volevo vedere da tempo. Si tratta de “Il concerto”, film uscito nel 2010, quindi sette anni fa, visto dopo averlo preso a noleggio dalla biblioteca del paesino di montagna ove si trovavano in vacanza i miei quest'estate. Quando uscì non feci a tempo ad andare al cinema e non ero ancora abbastanza fluente in inglese per provare a vederlo nella versione doppiata.

La locandina del film
La storia. Un ex direttore d’orchestra russo (impersonato da Aleksey Guskov), che era stato defenestrato dal regime per non aver licenziato gli orchestrali ebrei, intercetta per caso un fax destinato al Bolshoi per un concerto da tenersi a Parigi. In modo rocambolesco rimette assieme l’orchestra con cui suonava 30 anni prima, in gran parte composta da musicisti ebrei, ormai occupati nei modi più svariati. Impone il concerto per violino ed orchestra di Cajkovskij come programma e pretende che la violinista sia Anne-Marie Jacquet (Melanie Laurant). Il perché di questa richiesta si comprenderà verso la fine del film.

Non amo il cinema francese e questo film mi ne ha dato conferma. Dialoghi veloci, assurdi, talvolta scurrili, storia interessante che cade nella burla ridicola e nella commediola, con finale “romantico” ed ovviamente inverosimile. Peccato! Lo spunto iniziale non era male. Un po’ come “Canone inverso”, del nostro Tognazzi, che invece risulta ben costruito. Attenzione, l’ultima mezzora del film è occupata dall’esecuzione PER INTERO del suddetto concerto di Cajkovskij. Per fortuna eseguito nella realtà da Anne-Sophie Mutter (magistrale!) e dall’orchestra sinfonica di Budapest. In ogni caso, gli attori se la sono cavata egregiamente, risultando abbastanza credibili anche quando fingevano di suonare o dirigere. Per i musicofili, notevoli gli interventi musicali, da Bach a Mozart. Nel complesso può essere considerato un filmetto leggero, giusto per rendere meno pesante o più attraente l'ascolto del celebre concerto per violino per chi aborre la musica classica.

Il direttore di coro

Lo scorso 19 gennaio sono nuovamente andata all’università della musica per un concerto. Stavolta si trattava del saggio di fine semestre degli allievi di direzione corale di Ingrun Fussenegger e di Thomas Lang. I primi hanno diretto un coro di studenti di composizione e di tecnici del suono cui anche loro facevano parte, mentre i secondi hanno avuto l’onore di dirigere elementi del WebernStudioChor, accompagnandosi a vicenda al pianoforte (o ai pianoforti). Questo ha determinato anche la diversa scelta del repertorio, più dall’ambito sacro a cappella per i primi e comprendente anche qualche brano operistico per i secondi, oltre a cori da grandi lavori come l’Elias di Mendelssohn e il Deutsches Requiem di Brahms. Per entrambi i gruppi gli autori scelti spaziavano dal rinascimento fino alla contemporaneità.

Il concerto è stato relativamente lungo, dato il numero di aspiranti direttori che si sono susseguiti sul podio (8+16), con una breve pausa ossigenante in mezzo. Oltre a qualche viso già visto in altre circostanze, c’erano pure due vecchie conoscenze, un organista e Stefano, di cui ho più volte parlato. Nel complesso se la sono cavata tutti. Chi ha tentato di dirigere a memoria, chi aveva la partitura orchestrale, chi si è perso con i pianisti in forte disaccordo tra di loro e chi ha trasformato il saggio in uno spettacolo. Dal punto di vista corale le sbavature sono state minime o addirittura assenti. Bello poter avere un coro a disposizione che non ha problemi d’intonazione o di lettura e che è relativamente pronto a seguire l’interpretazione del maestro. Peccato che nella realtà questi ragazzi avranno a che fare con cori di dilettanti, cui pure la corretta respirazione sarà sconosciuta. A parte quei pochi che avranno la fortuna di dirigere cori professionisti. Finché studiano, è giusto che gli aspiranti direttori (e direttrici, in numero crescente) si facciano le ossa con “strumenti” ottimali. Alcuni di loro fanno in parallelo (o hanno già concluso, come Stefano) il corso di direzione d’orchestra, ove è più facile avere davanti un gruppo di professionisti. Due “colleghi” scienziati, che lavorano in settori diversi, si sono uniti come pubblico e sembrano aver apprezzato il concerto, cui è seguita una lauta cena divertita, come ai tempi del conservatorio in Italia.
da qui
La serata mi ha permesso di riflettere sul ruolo del direttore di coro. In tanti anni da corista e da organista accompagnatrice ho visto parecchi direttori di coro, italiani e non. Solo due erano donne e di entrambe ho un buon ricordo in quanto carisma e chiarezza. Ho conosciuto direttori tecnicamente perfetti ma senza capacità d’imporsi sul coro o di dare un’interpretazione non scolastica ai pezzi ed altri dilettanti che comunque portavano a casa brani moderatamente complessi con dignità. Qui vorrei ricordare i direttori di coro più importanti per la mia formazione. Emanuele Pasqualin è stato il primo che abbia mai conosciuto. Ero adolescente ed iniziavo solo allora ad avvicinarmi allo studio strutturato della musica Come insegnante di solfeggio m’invitò ad entrare nel coro di parrocchia che dirigeva. Fu un grande regalo. Il mio contributo nel coro era praticamente inesistente, ma ho imparato molto. Ho anche avuto modo di partecipare al primo concerto dalla parte del “palco”, con un’esecuzione del Requiem di Fauré che per me resta la migliore mai udita, nonostante gran parte dei coristi non fosse in grado di leggere la musica. All’arrivo a Vienna, Erzsébet Windhager-Geréd, Kantorin nella Lutherische Stadtkirche, mi ha dato la possibilità di prendere parte per la prima volta a delle cantate di Bach, realizzando così un sogno. Ho sempre ammirato la sua energia, che riusciva a trasmettere anche ad un coro eterogeneo e stanco dalle giornate di lavoro, oltre all’attenzione al testo ed alla funzione nella liturgia. Rimanendo in tema musicale luterano, merita di essere menzionato anche Christoph Schlütter, il direttore della Ökumenische Kantorei a Bruxelles, con cui ho finalmente imparato a conoscere e ad apprezzare Schütz e Buxtehude. Purtroppo il coro era troppo piccolo o troppo poco preparato per garantire una resa ottimale, ma la sua interpretazione dei brani resta un grande insegnamento per me. Guarda caso, entrambi quest’ultimi hanno completato o stanno completando un dottorato in musicologia e sono luterani o lavorano per la chiesa luterana.

In conclusione, dirigere un coro non è facile, non ci si improvvisa direttori e non basta conoscere la teoria. Ci vuole la capacità di instaurare un’efficace comunicazione con i coristi, d’ispirare rispetto da parte loro senza però intimidirli. Il coro deve diventare un’estensione delle braccia del direttore, come un vero e proprio strumento musicale. Per questo, secondo me, è importante avere tempo per provare e per conoscersi vicendevolmente, anche con attività “sociali”, come è accaduto spesso sia con Erzsebet sia con Christoph e tentativamente anche con E. Pasqualin, ma ero troppo timida, giovane ed ignorante per comprenderlo. Personalmente non ho queste capacità, oltre a non avere la preparazione per dirigere un coro. Fatto curioso, per ben due volte ho iniziato come corista e poi sono stata pregata di accompagnare i cori all’organo. Spero di aver fatto un lavoro decente allo strumento, entrando in sintonia con le intenzioni del direttore. Al momento questo tipo di esperienze mi manca, per mio volere. Sono cambiata e devo ancora trovare il coro "giusto" per l'individuo musicale che sono ora. Per poter crescere ancora.