Orchestra vs. organo

Il mio sabato sera è stato nuovamente all'università per la musica, per il concerto di gala di alcuni studenti di direzione d'orchestra. Sul podio si sono alternati: Batughan Uzgören, Katharina Wincor, Jera Petricek Hrastnik e Roger Diaz Cajamarca, dirigendo brani di Brahms, Beethoven, Prokovief e Honegger, con l'orchestra da camera dell'università, di cui Giulia, la violinista di cui parlai qualche tempo fa, era primo violino. Concerto interessante nel complesso. I giovani direttori sono ancora acerbi ed hanno chiaramente pagato le poche prove con l'orchestra. Della compagine mi sento di salvare Jera Hrastnik, per la ricerca di un dialogo con l'orchestra anche dopo il concerto. Gli aspetti positivi della serata sono stati il vedere un gruppo quantomai internazionale ed eterogeneo andare d'accordo nella musica ed il conoscere un'opera di Honegger che non avevo mai sentito e che mi verrebbe voglia di trascrivere per organo.

Questo concerto mi fornisce l'opportunità di parlare di altri due eventi in qualche modo legate a tale serata. Prima di tutto il concerto di laurea di Giulia, sentito qualche settimana fa, ove la violinista ha data una prova di maturità musicale di altissima qualità, giustamente premiata con il massimo dei voti e la lode. Non solo per l’abilità tecnica, ma anche per la scelta e la preparazione dei brani, con un repertorio non scontato ed una particolare cura per Schnittke, su cui ha scritto la tesina. Sentiremo ancora parlare di lei. Al concerto di laurea di Giulia ho rivisto anche un amico conosciuto al conservatorio di Padova, compositore, violinista, direttore d’orchestra e, per passione, anche organista, che si è laureato a Vienna in direzione d'orchestra l'anno scorso (con lode) e che ora sta terminando gli studi in direzione di coro e con cui ho avuto l'onore di suonare (sue composizione) un paio di volte prima della partenza per Vienna, Stefano Torchio.

Stefano si è un po' risentito che non abbia ancora parlato nel blog del suo lavoro di laurea: l'orchestrazione della Priere di C. Franck. Avevo i miei motivi: non ero presente al concerto, tenutosi prima del mio ritorno definitivo in città, e temevo di essere troppo condizionata dal mio rapporto col pezzo. Temevo di essere imparziale nel parlare della sua trascrizione perché abbiamo “studiato” con lo stesso maestro e perché Priere è stata per me la chiave per iniziare ad apprezzare e capire Franck, essendo l'unico pezzo di questo autore che istintivamente amavo. In conservatorio Franck mi era stato presentato in modo orribile ed incompleto ed all'inizio l'avevo totalmente rifiutato. C’è voluto molto tempo, ci sono voluti i concerti e le lezioni di Francesco Finotti, infine c'è voluta l’esperienza in Belgio, ove Franck è nato, con gli organi dell'epoca per iniziare a gustare questo raffinato compositore. Ora, più leggo le sue opere organistiche e più lo sento orchestrale. Forse per un sentimento d’inferiorità (purtroppo comune tra i Belgi verso i vicini Francesi e Olandesi), Franck ha scritto relativamente poco per orchestra in quella Parigi che pullulava di compositori. Il suo stile organistico si scosta da quello dei coevi e di chi l’ha seguito.


Tornando al lavoro di Stefano (che potete ascoltare qui sopra), dire sublime sarebbe ancora poco. Il titolo e la strumentazione hanno relegato il brano originale ad un’esecuzione esclusivamente ecclesiale. Invece si tratta di un piccolo poema sinfonico dal tema semplice che diviene ora consolante, ora entusiasmante, ora accorato, ora rassegnato. Un po’ come la nostra preghiera, magari fatta ripetendo delle formule, ma con intenzione totalmente diversa a seconda della nostra situazione. 

Le trascrizioni orchestrali di brani organistici non sono una novità, si pensi per esempio a Stokovski, di cui parlai qui. In quel caso, però, l’originale bachiano era stato completamente stravolto. Invece in Franck l’orchestrazione non è una forzatura. Semmai la versione organistica originale suona quasi come una riduzione. Stefano ha fatto un ottimo lavoro, liberando la farfalla che era nascosta nel bruco organistico. 

La domanda che mi pongo è ora come rendere tutto ciò con l’organo. Così mi sono tornate alla mente quelle prime esecuzioni di Franck che avevo udito in concerto e l’impressione che me ne era rimasta. Era proprio in questa direzione e sentire ora critiche alle acrobazie tecniche e tecnologiche (di cambi di registri) operate dall'organista di allora come finalizzate al solo spettacolo mi fa sorgere il sospetto che l'interlocutore non abbia ancora capito la grandiosità di un compositore che pensa orchestrale scrivendo per il re degli strumenti. Quindi, grazie Stefano per permetterci di apprezzare maggiormente l'opera di C. Franck.

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