Il perché non so

Perché Bohème mi commuove sempre? Sarà per l'ingenuità dell'amore di Mimì, sarà per l'arguzia delle battute tra Marcello e Musetta (come tra Bendetto e Beatrice in Molto rumore per nulla), sarà per l'immedesimazione negli artisti in cerca di un'occupazione (sono una scienziata, ma la sostanza non cambia). Tanto per cambiare, ieri sera ero alla Staatsoper proprio per vedere Bohème assieme a due amiche. È stata la prima volta in cui ho assistito a quest'opera dal vivo, mi ero rifiutata di vederla all'Arena perché, secondo me, adatta solo ad un teatro: negli spazi aperti si perde l'intimità delle emozioni.

Ecco la scaletta.
Direttore: Franz Welser-Möst

Rodolfo: Piotr Beczala
Marcello: Adrian Eröd
Schaunard: Alessio Arduini

Anche in questo caso l'allestimento era datato, ma egualmente affascinante. Zeffirelli ha un gusto particolare nel riportare le opere negli spazi originali, cercando di seguire le indicazioni del compositore piuttosto che mostrare al pubblico la propria interpretazione o voler essere originale a tutti i costi. I costumi erano pure pregevoli, per questo ho citato il compianto costumista. Talmente persa nella musica e nella vicenda, non posso dire molto su direzione e cantanti. L'opera è fluita tranquillamente, quasi mi hanno disturbato gli intervalli e gli applausi che hanno brevemente spezzato la magia del teatro. Mimì era perfetta nel ruolo, Rodolfo vocalmente non era al suo pari, situazione invertita per la coppia Marcello e Musetta, ove Marcello ha decisamente brillato. Schaunard e Colline senza infamia né gloria, ma la celebre romanza "Vecchia Zimarra" di Colline è stata commovente. Giacosa e Illica hanno fatto un lavoro mirabile con il libretto, che merita una letta. Non per nulla gli stessi autori hanno contribuito al successo di Tosca e Madama Butterfly.

Una nota finale, valida per tutte le opere liriche. L'attenzione e gli applausi (o fischi, ma a Vienna sembrano sconosciuti) del pubblico sono sempre e solo per i cantanti, che mettono la faccia oltre alla voce, ma in pochi riconoscono il lavoro ed il valore del direttore d'orchestra. I cantanti alla fine sono, alla pari degli strumentisti, l'espressione dell'idea del direttore, pur se meno malleabili di un violinista a causa della loro forte personalità (o mania di protagonismo?), e sono dei meri burattini mossi dalle indicazioni del regista. È innegabile che taluni abbiano tale talento interpretativo (musicale e di teatro) da farli emergere, però mi piacerebbe almeno una volta in un teatro sentire il pubblico accogliere con un'ovazione anche il direttore e l'orchestra intera!

Una furtiva lacrima

Una tedesca, una slovacca, una portoghese ed un'italiana si trovano a teatro. Non è l'inizio di una barzelletta, bensì quanto accaduto ieri sera. Una furtiva lacrima ha bagnato anche le mie ciglia, non per invidia delle festose giovani, ma per nostalgia. L'entusiasmo del pubblico per un momento mi ha portato all'illusione di un grande teatro italiano, la Fenice o la Scala, almeno un secolo e mezzo fa.

da qui
La scaletta: 
opera in 2 atti di Gaetano Donizetti
direttore 
regia basata su 
Adina 
Nemorino 
Belcore 
Dulcamara 
Giannetta 

La rappresentazione era coerente con il tempo della vicenda, con i costumi tradizionali, la scenografia da presepe e delle capatine nella commedia dell'arte per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi. Nel complesso deliziosa! La fresca direzione musicale era molto leziosa, auto-compiacendosi delle belle melodie e sorvolando velocemente sui recitativi narrativi. Flórez notevole, dal bel timbro chiaro e dalla pronuncia sorprendentemente intellegibile. Gli applausi dopo l'esecuzione della romanza "Una furtiva lacrima" sono stati così insistenti che ne ha concesso un bis. Nonostante l'aria in se non sia stata così eccezionale e nonostante non ami l'interruzione della vicenza per simili divagazioni, proprio quella ripetizioni mi ha trasportato all'atmosfera dei teatri ottocenteschi. Penso che sentiremo ancora parlare di questo ragazzo! 

La Schwartz, invece, non ha brillato per nulla, nella recitazione se l'è cavata egregiamente, ma per il resto non si è distinta se non per incomprensibilità del testo, acuti gridati e vibrato pesante nel registro grave. Molnár bravo, meglio nel II atto che nel primo, idem Plachetka. La Rathkolb ha mostrato di avere voce e personalità, forse il controllo sarebbe ancora da affinare, ma a mio parere ha l'età, l'esperienza e soprattutto le capacità per un ruolo da protagonista, chissà perché è sempre relegata a parti minori?!?!

La serata è stata davvero gradevole. Il teatro era pieno e nessuno se n'è andato a metà spettacolo come accaduto altre volte. Il cartellone è denso di altre opere che m'interessano, basta convincere la compagnia a non perdere una simile occasione.



metti una sera in loggione

Ieri sera mi sono concessa la Traviata alla Staatsoper assieme ad alcuni amici musicisti italiani che non vedevo da mesi, nonostante la comune temporanea emigrazione a Vienna. La locandina: Violetta Valery Ermonela Jaho, Alfredo Germont Francesco Demuro, Germont padre Giovanni Meoni, Direttore Bertrand de Billy e Regia di Jean-Francois Sivadier.

Bacchetta magnifica! Davvero una direzione notevole, curata nei dettagli, con un sapiente uso del rubato ma senza concedere troppo ai cantanti. Solo al momento di scrivere questo post mi sono resa conto che i due Germont erano italiani, in ogni caso mi avevano entrambi piacevolmente colpito. Non solo per la chiara pronuncia italiana (non scontata, nonostante la nazionalità), ma soprattutto per la resa musicale e per come sono entrati nei rispettivi personaggi. In questi condizioni un piccolo cedimento dell'intonazione su un tenuto si perdona. Al contrario non mi ha convinto il soprano. Tecnicamente brava ma senza cura alcuna per la pronuncia, piuttosto schematica nelle dinamiche, dal timbro non bellissimo, quasi roco (forse non era al top, nelle registrazioni ha un timbro molto più limpido), però queste carenze sono state in qualche modo supplite da un'ammirabile presenza scenica, a volte da diva, ma che non stonava con il personaggio di Violetta, abituata ad essere sempre al centro dell'attenzione, soprattutto maschile. 

La regia riproponeva il recente allestimento, creato appositamente per questo teatro e con la Dessay nel ruolo della protagonista. La scena era sempre estremamente scarna, il mobilio ridotto ad un numero variabile di sedie che periodicamente venivano scagliate a terra dai cantanti per sottolineare i momenti di rabbia, pannelli colorati ed un'enorme lavagna completavano il panorama. Nonostante dai costumi si evincesse una trasposizione della vicenda in epoche più vicine, l'ammodernamento non ha in alcun modo toccato la storia. Niente a che vedere con la controversa rappresentazione in Arena di Verona di qualche anno fa.

È stata una bella serata, più da ascoltare che da vedere per la posizione piuttosto laterale in loggione, ma l'opera italiana colpisce sempre nel segno. Posti in piedi, loggione, con vertiginosa vista sulla platea e la buca dell'orchestra, attorniata da musicisti e studenti, tutto per soli 3 euro. Nonostante ritenga i teatri storici italiani infinitamente più belli (Fenice, Scala, Petruzzelli, Massimo, etc., che mi sono dovuta accontentare di vedere in tv causa difficoltà logistiche), non credo che in Italia la nostra opera sia parimenti fruibile, visto che il massimo dello sconto concesso agli studenti del conservatorio era un biglietto da 6 euro per la prova generale, in mezzo a tumultuose scolaresche per la prima volta a teatro.


Giro di pagina

Da tempo programmavo di scrivere questo post, nato da una chiacchierata con un amico. Il titolo non è una metafora per indicare un cambio radicale nella mia vita, bensì proprio all'azione fisica di girare pagina in uno spartito mentre si sta suonando. Nelle varie edizioni musicali sul mercato è raro trovare un'attenta disposizione delle battute in modo da non essere costretti ad interrompere la musica o a ricorrere ad un girapagine, col quale deve instaurarsi un certo rapporto di fiducia per non causare danni (questo fatto ha pure ispirato un film).

Gli strumenti monodici (fiati) o che comunque leggono su un solo rigo (archi) si pongono raramente il problema, perché le partiture sono notevolmente ridotte in lunghezza per cui un intero movimento di sonata riesce a stare su una facciata, massimo due. Il problema sembrerebbe non toccare i pianisti (ed i pochi organisti), che in genere eseguono il repertorio a memoria. In realtà in fase di studio la questione riguarda anche loro, come anche nelle occasioni in cui accompagnano altri strumenti. Per l'organo, poi, talvolta è indispensabile un registrante, che non solo si occupi delle pagine ma anche dei cambi di registri.

Dai tempi degli studi pianistici ho un buon ricordo della Henle, che oltre a fornire urtext lasciava delle facciate bianche per ridurre i giri di pagina. Per quanto riguarda l'organo, invece, la migliore è la Bärenreiter. Nessuna delle altre case editrici che mi sono passate tra le mani (Peters, Breitkopf, Dover, Durand, Leduc, Carrara, etc.), talvolta più costose della suddetta, ha mai avuto la stessa attenzione. Ammetto di avere praticamente l'opera omnia per organo di J.S. Bach in edizione Bärenreiter e l'unico volume ove il giro di pagina non cade in passaggi con una sola mano (permettendo all'altra di girare la pagina), di solo pedale, in prossimità di cadenze o alla fine di un movimento, è il volume sui concerti di altri autori adattati all'organo, ove qualsiasi esecuzione risulta rischiosa senza girapagine o senza aver imparato il brano a memoria.

Finché uno studia può anche interrompersi un momento per cambiare pagina, ma in esecuzione non a mente, come accade solitamente in chiesa durante cerimonie varie, non si può pretendere di avere un assistente, dimezzando le scarse e rare entrate, e quindi ci si deve arrangiare con fotocopie attaccate con  il nastro adesivo e trovate simili. Cari editori musicali, visto che in molti casi consultate un musicista per la diteggiatura, vi costerebbe tanto chiedergli lumi anche su questo aspetto?

Il meteo e la musica


Eos è una rivista gratuita (per i membri dell’AGU, American Geophysical Union) che aggiorna settimanalmente sui risultati delle ricerche in geofisica, climatologia e scienze planetarie, sui convegni a riguardo e sulle opportunità di lavoro nelle università di tutto il mondo (prevalentemente USA). Interessante, ma cosa c’entra con la musica? Solitamente nulla, ma nel numero del 4 Settembre, nella rubrica GeoFizz (come a dire, bollicine geologiche?) è comparso un articolo con un titolo che potremmo tradurre con “Quale meteo influenza la musica”. L'autrice fa qui un sunto ed un aggiornamento di un lavoro precedente, in cui stima statisticamente quali condizioni meteorologiche sono più frequentemente fonte d’ispirazione nella musica orchestrale occidentale.

Lo studio è stato affrontato in modo scientifico, selezionando brani che contengono riferimenti a situazioni meteorologiche (pioggia, vento, temporale, brezza, etc.) o astronomiche (aurora, tramonto, etc.) nel titolo o in partitura o nelle note apposte da editori e revisori. Manco a dirlo, i vincitori sono Vento (non solo negativo) e Tempesta. Da musicista mi ha fatto sorridere la constatazione che in genere le composizioni che descrivono temporali e simili sono in modo minore mentre quelle su situazioni piacevoli sono in maggiore. Che sorpresa!!! Credo sia una della prime regole che insegnino a composizione: triste=minore, allegro=maggiore, regola che vanta anche numerose eccezioni. Nell'articolo originale menzionano anche gli strumenti usati per riprodurre tali condizioni meteorologiche. A parte la scontata macchina del vento o la lastra del tuono, troverei interessante vedere sullo spartito come sono stati invece usati gli strumenti tradizionali (ad esempio il pizzicato per la pioggia leggera), ma non sarebbe una cosa comprensibile alla maggior parte del pubblico scientifico. Viene citato anche un registro dell’organo con effetto tempesta, che sinceramente non ricordo di aver mai incontrato, a meno che non si faccia riferimento ad alcuni organi italiani dell’Ottocento che avevano strane combinazioni a percussioni chiamate “timballone” etc. A quanto ne so servivano per riprodurre il rullato di cassa finale nelle opere, non per temporali e varie, che in chiesa non avrebbero avuto molto senso. Mah! Tornando all'articolo, i due scienziati, una fisica ed un meteorologo, suggeriscono di continuare studi simili per verificare le eventuali correlazioni tra composizioni e variazioni climatiche.

la neues Gewandhaus a Lipsia
Mi sembra una ricerca curiosa ed interessante, forse più per i musicologi che mancano dell'approccio scientifico talvolta, che non per la comunità dei paleoclimatologi (per tacere di geologi, geofisici o impattologi cui non fregherà assolutamente, tranne nel caso siano pure musicisti). Sinceramente credo, però, che il lavoro in questione possa essere stato alterato da due fattori.
  1. Si considera anche la provenienza geografica dei compositori, prevalentemente nordici (tedeschi ed inglesi la fanno da padroni). Come hanno discusso nell'articolo, ciò ha aumentato la probabilità di descrivere cattive condizioni meteorologiche, ma non è l'unico fattore discriminante. L'aver considerato esclusivamente musica orchestrale ha praticamente escluso di fatto una buona fetta di compositori al di sotto delle Alpi che con questo genere non hanno avuto molto a che fare, soprattutto nell'Ottocento, quando il poema sinfonico descrittivo ha raggiunto l'apice del successo.
  2. Il numero di composizione considerate è molto limitate, ne sono sicuramente state scartate molte, senza contare le numerose rappresentazioni di temporali o simili durante le opere liriche, ignorate, benché strumentali, perché inserite in un contesto non prettamente sinfonico. Bisogna ammettere che in tal caso, però, il risultato non sarebbe cambiato di molto, ma avrebbe avuto solamente una statistica più forte. Quante tragedie italiane in musica hanno il culmine in una notte “buia e tempestosa”? Vedi per esempio Rigoletto, l'inizio del Macbeth, etc.

Ecco i riferimenti bibliografici dei due lavori considerati:
Aplin K.L. 2012. Whether weather affects music. Eos 93 (36): 347-348.
Aplin K.L. and Williams P.D. 2011. Meteorological phenomena in Western classical orchestral music. Weather 66(11):300-306.
Se interessati ad avere gli articoli originali (in inglese) in formato pdf, che temo siano accessibili solamente tramite abbonamento di qualche istituto universitario, mandatemi un messaggio privato. Riflettendoci a posteriori forse questo post sarebbe stato più opportuno su geomusik visto l'argomento, ma ormai parlo di musica quasi esclusivamente qui, quindi è qui che deve stare.

Porte aperte al Musikverein

Ieri, domenica, si è svolto il "Tag der offenen Tür" al celebre Musikverein di Vienna. In pratica, tutte le sale ospitavano eventi per grandi e piccini, gratuitamente ma a numero chiuso, dalle 14 alle 17:30.

Il programma sarebbe lungo, perciò riassumo quello cui ho potuto partecipare: per celebrare i 200 anni della Società degli Amici della Musica un gruppo di ottoni ha eseguito una composizione apposita sui gradini dell'ingresso, nella Grosser Saal (quella del concerto di capodanno) il nuovo organo è stato illustrato dall'organista Istvan Matyas, che poi ha dato una eloquente dimostrazione delle capacità sonore con una trascrizione della Danza Macabra di Saint-Saëns e la (solita) Toccata dalla V Sinfonia di Widor (a tempo di record, adatto all'acustica della sala, bravo!), a seguire un masterclass di canto per dilettanti tenuto dalla brava e simpatica Barbara Bonney, un piacevole intermezzo è stato il Trio in sol maggiore Hob XV: 25 di Haydn con il grande Buchbinder al piano ad accompagnare due giovanissimi talenti al violino ed al violoncello, nella Brahms-saal Christian Zmek e Michael Fischer hanno intrattenuto i bambini con uno divertente spettacolo di danza (tip-tap e non solo) cui è seguito un coinvolgente show di Carole Alston con una serie di noti gospel. Il mercatino dell'usato conteneva preziose collezioni di spartiti usati ma non proprio economici, oltre a ritratti di perfetti sconosciuti, mobilio biedermeier e vari oggetti inutili. Molte iniziative interessanti, come esposizione di strumenti antichi ed altre esibizioni musicali, erano nelle nuovissime piccole sale ricavate nei piani interrati (Metallanern, Gläserner, Steinerner e Hölzerner Saal), che purtroppo non sono riuscita a raggiungere causa sovraffollamento.

Nonostante la bellissima giornata di sole, probabilmente una delle ultime estive concesse alla città, l'iniziativa ha avuto grande seguito. Forse nemmeno gli organizzatori si aspettavano tanto interesse, vista la difficoltà di accesso alle stanze più piccole tramite un'unica scala. L'idea di aprire le porte di un'istituzione simile è già di per sé apprezzabile, l'aver poi organizzato esibizioni ed attività per avvicinare bambini e dilettanti alla musica è stato stupendo! Anche chi con la musica vive quotidianamente non ha avuto modo di annoiarsi. Speriamo non sia stata un'occasione isolata e che pure altri luoghi sacri della musica, come la Staatsoper, prendano l'abitudine di aprire le porte a tutti una volta l'anno, per far godere della buona musica che dentro vi si esegue.

OperaVox: ovvero bambini per una sera

Per puro caso ieri sera mi sono travata ad assistere con due amiche ad una proiezione particolare al FilmFestival: OperaVox. Si tratta di una serie televisiva di qualche decennio fa che arrangiava celebri opere liriche per un pubblico di bambini. Tramite cartoni animati o marionette, i personaggi delle opere semplificate e ridotte si trovano a cantare esclusivamente alcune famose arie mentre la narrazione degli eventi è affidata a scarni dialoghi in inglese. Ecco, questo è il vero "problema" di un'iniziativa altamente culturale, l'aver tradotto opere italiane, tedesche e francesi in inglese, con forte accento britannico!
Le opere di ieri sera erano: Il Flauto Magico (che in realtà non è un"opera" in senso stretto ma bensì uno singspiel, in cui parti vengono recitate), Il Barbiere di Siviglia e Carmen. Il lavoro di Mozart era reso con animazioni molto stilizzate e che sottolineavano il carattere massonico e magico della vicenda. Nel Barbiere una ricostruzione teatrale con marionette molto ben fatte giocava sugli aspetti comici della storia. Carmen era in uno stile più moderno, legato sia alla tragedia sia al tema più adulto. Complice anche una serata tiepida e serena, dopo un week end di pioggia e prima di altri giorni di temporali, la platea era piena, non c'era un posto per sedersi! La gente ha mostrato di gradire lo spettacolo, nonostante sia datato e nonostante fosse più per bambini che per acculturati adulti austriaci. Un bell'approccio all'opera anche per coloro i quali non sono abituati a sorbirsi due ore (minimo) d'incomprensibile canto impostato in una lingua spesso sconosciuta e con cantanti-divi a volte non all'altezza del ruolo o con regie astruse che invece di aiutare la comprensione fanno pentire di aver speso i soldi per il biglietto.

un circo per la poesia della rivoluzione

Finalmente sono riuscita a vedere l'Andrea Chenier, opera di Umberto Giordano, per di più nel discusso allestimento del Festspiele di Bregenz. Ovviamente sempre grazie al FilmFestival al Rathaus di Vienna.

Non conoscevo quest'opera se non per sentito dire e sempre con toni entusiastici, eppure non sono tornata a casa con il rammarico degli anni persi. Come precedentemente detto, l'amplificazione di quest'anno rende la voce un po' falsa e quindi il coinvolgimento emotivo è più faticoso. Devo anche premettere che non conoscendo la musica non si è innescato quel meccanismo di "familiarità" che rende piacevole il riascolto di qualcosa noto. Il linguaggio musicale è anche piuttosto avanzato (sì, lo so, è un'esagerazione per l'epoca, ma abbiate pazienza, rispetto a Verdi). Un'altra nota dolente è stata la non sottotitolazione dell'opera. Solitamente c'è e pur se in tedesco fornisce un aiuto alla comprensione di un italiano arcaico, reso ancor più ostico dal canto, specialmente quando non si conosce o non si ha il  libretto. 

La cosa che colpisce maggiormente di questo allestimento è sicuramente l'impianto scenico, cui s'è accompagnata una regia a dir poco eccentrica. L'idea di Marat immerso nella vasca che in realtà era il lago di Costanza (Bodensee in tedesco) è geniale, ma il gusto dei costumi da gay-pride, i tuffi acrobatici ed i balletti sospesi, scene di violenza rappresentate troppo realisticamente, gli interventi di chitarra elettrica (immagino non previsti in partitura dal povero Giordano), etc. mi sono sembrati un po' eccessivi. Soprattutto se ciò non contribuisce al coinvolgimento del pubblico nella storia, semmai a distrarlo con uno spettacolo quasi circense. Sarò all'antica, me preferisco gli allestimenti "realistici", anche se trasposti in epoche diverse o reinterpretati. Qui le carte in tavola c'erano tutte: l'evoluzione del personaggio femminile, la poesia come arte che salvifica, i lati oscuri della rivoluzione, l'ipocrisia, il sacrificio... In conclusione, grande spettacolo per gli occhi ma non per cuore ed orecchi.


Tragedia romana

L'altro ieri sera è iniziato il Film Festival nella Rathausplatz a Vienna, quest'anno con uno schermo di dimensioni maggiori (300 mq, impressionante!), un sistema audio potenziato (anche troppo, risulta falso) ed un programma che almeno una volta alla settimana include un concerto pop ed uno nazional-popolare (leggi, opera italiana famosa). Ieri sera davano Tosca, nel seguente allestimento (disponibile qui, grazie alla BBC), che ha trovato i favori della critica: Royal Opera Chorus e Orchestra of the Royal Opera House diretti da Antonio Pappano, per la regia di Jonathan Kent, con Angela Gheorghiu (Tosca), Jonas Kaufmann (Cavaradossi), Bryn Terfel (Scarpia).

Seconda Tosca che sento a Vienna e seconda volta con Kaufmann nel ruolo del pittore. Questo allestimento nelle intenzioni vorrebbe confrontarsi con l'inarrivabile storica versione di Zeffirelli per lo stesso teatro, con la Callas (Tosca) e Gobbi (Scarpia). Scenograficamente tradizionale, interpretazione degli attori magistrale, ma non mi ha convinto del tutto musicalmente. Sicuramente a causa del volume elevato, del bilanciamento in post-produzione e della proiezione all'aperto, perché i cantanti di tutto rispetto hanno comunque mostrato notevoli abilità interpretative, sia per la recitazione (Tosca era molto diva, Cavaradossi innamorato e Scarpia subdolo e cinico) sia dal punto di vista vocale.


Tosca resta una delle mie opere preferite, per quel misto di storia e romanticismo, per la tragedia (muoiono tutti, che lo sappiate subito) di primo ottocento resa ancora più drammatica dalle ambientazioni barocche (solo in teatro, in realtà Palazzo Farnese è rinascimentale e Castel Sant'Angelo medievale, solo la chiesa di Sant'Andrea si può considerare barocca) e dall'atmosfera cupa del decadentismo. La storia è semplice, come la riassunse Shaw "il tenore ama il soprano ma il baritono non vuole", eppure qui ci sono tanti sentimenti rappresentati: la volubilità della diva, la gelosia, il patriottismo, l'invidia, l'eroismo. Come non immedesimarsi in Tosca quando non regge alle torture sul suo amato e confessa, condannando se stessa, lui e l'Angelotti a morte, e quando si domanda del perché sia chiamata a tanto dolore? Come non piangere quando il Cavaradossi, cosciente dell'imminente esecuzione, si abbandona in un disperato e carnale appello alla vita?

P.S. In quegli stessi attimi la nazionale di calcio perdeva clamorosamente contro la nazionale spagnola. Se milioni di Italiani hanno pianto davanti alla tv vedendo undici ragazzi disfatti dalla fatica e sopraffatti dalle "furie rosse", concedetemi di essermi commossa alla rappresentazione canora di un dramma d'amore e politica, pur conoscendo il finale sin dal primo accordo, ambientato a Roma, messo in scena in Inghilterra, con una cantante rumena, un tedesco ed un gallese. Magia dell'opera!

Lange Nacht der Kirchen 2012


Anche quest'anno si è svolta la Lunga notte delle Chiese ed ha avuto l'abituale imbarazzo della scelta tra le innumerevoli iniziative e concerti, con la compagnia eccezionale di amici italiani e non, che hanno dimostrato una notevole resistenza nonostante i miei giri estenuanti ed i concerti non proprio leggeri. Il programma prescelto è variato in corso, alcune chiese sono saltate per motivi di tempo ma ci sono state delle piacevoli ed inaspettate nuove esperienze. Alla fine gli eventi cui abbiamo preso parte sono stati:


Una serie d'impressioni. Tanto di cappello all'organista dell'Augustiner, Johannes Ebenbauer, che oltre ad illustrare gli strumenti ha regalato un po' di letteratura ad hoc. Il coro giovanile, ORG Wiener Sängerknaben, non era un coro di voci bianche come mi aspettavo, ma di adolescenti che cantavano seriamente e piuttosto bene musica sacra dal XVI al XXI secolo, ma mi è mancata la dinamica di un coro adulto e la freschezza di un coro di bambini. Una menzione merita la violinista nella Ruprechtskirche, di cui ho dimenticato il nome (sic!) e che si è cimentata con un programma barocco inedito tutt'altro che facile, mostrando grande abilità tecnica ed una buona interpretazione. 
Non sono appassionata di musica ortodossa ma ho sentito quattro voci davvero notevoli e dall'orecchio infallibile, sicuramente una liturgia con la loro partecipazione sarebbe particolarmente suggestiva ed evocativa. L'organo della Jesuitenkirche è uno dei migliori a Vienna a mio parere, ma in questa occasione l'organista,  Michael Gailit, non ha scelto il repertorio che l'avrebbe valorizzato a dovere, volutamente evitando i romantici francesi e pure i tedeschi, sempre secondo me. Il poco che ho sentito nella Salvatorianer avrebbe meritato un più lungo ascolto, per gli esecutori del Collegium Musicum del Conservatorio Prayner su strumenti d'epoca. Anche lo “Stabat Mater” era con strumenti d'epoca ma le due cantanti non mi hanno convinto, specialmente il contralto, con poca attenzione al testo e voce non ben controllata. È almeno la seconda volta che ascolto questo commovente brano qui a Vienna ed anche stavolta sono rimasta delusa dall'interpretazione. ZuzanaFerjencikova a Schottenstift è stata una conferma, davvero bravissima, non solo tecnicamente, nel rendere visibili i quadri descritti dalla musica. Il Finale nella Cattedrale è stato sublime, merito dell'ottimo pianista Matthias Fletzberger. L'ambientazione, complice la rinnovata illuminazione colorata, e la musica di Bach, articolata, cerebrale, ma allo stesso tempo consolante e piacevole anche per i non musicisti, hanno fatto il resto.

musica come cultura

Grazie ad Alberto, autore di un interessante blog, sono venuta a conoscenza che recentemente Repubblica, con il gruppo l'Espresso, ha messo a disposizione una serie di dvd su alcuni grandi compositori. Ogni filmato, di circa 1h, tratta di un compositore diverso, scelti tra i più celebri, senza un preciso criterio temporale o geografico. La biografia del musicista prescelto è narrata con intelligenza (non si tratta né di agiografie né di elenco di date in stile enciclopedico) da Corrado Augias, mentre gli esempi e la critica musicale sono a cura del M.o Giuseppe Modugno. Il tutto è intervallato da alcuni minuti delle composizioni più significative, tratti da esecuzioni note e di tutto rispetto, pur se non confacenti alla prassi esecutiva (come farebbe notare qualcuno), ma lo scopo è divulgativo. Alcuni di questi video sono (legalmente? comunque utili per diffondere la serie tra chi vive all'estero) disponibili su YouTube.

Da Bach-addicted come sono non ho posso fare a meno di valutare criticamente la puntata a lui dedicata. Come si fa a ridurre la grandezza di un tale personaggio in 50 minuti? Devo ammettere che Augias ed il M.o Modugno hanno fatto un buon lavoro, pur se con qualche piccola imprecisione. Non mi è piaciuto il modo in cui hanno menzionato il temperamento equabile, quasi attribuendone a Bach l'invenzione. Non è stato così e soprattutto il suo "equabile" non era equabile come lo intendiamo noi! Se così fosse stato, non avrebbe scritto 24+24 preludi e fughe, una per tonalità, ognuna con carattere diverso, ma solamente una in maggiore ed una in minore trasportabili in tutti i toni. Altro dettaglio, le immagini dissociate dagli esempi musicali: quando veniva mostrato uno spartito (autografo?) non si trattava mai di quello che si stava ascoltando, inoltre hanno raccolto ritratti di Lutero e dei suoi luoghi mentre si sentiva il BWV 1041, che non ha niente a che vedere con la musica sacra luterana. La cosa che, invece, mi ha fatto sorridere è stato l'aneddoto sui funerali. Bach non era cinico, il calcolo sulla mortalità è comune a tutti gli organisti, ammetto di averlo fatto pure io in quel periodo in cui con i funerali mi pagavo gli studi...

il duomo di Montegrotto
In conclusione, ritengo l'iniziativa lodevolissima e molto ben riuscita. In genere sono molto critica con simili produzioni, ma in questo caso i fatti principali della vita di un autore sono state abilmente condensata ed esposte, senza perdersi in dettagli romantico-nostalgici e senza farne un documentario, che sarebbe stato sì interessante ed esaustivo, ma non avrebbe attratto chi di queste cose non vuol sentirne parlare. Credo che quella percorsa sia una via efficace per la diffusione della cultura!

scene da un matrimonio

In attesa di ascoltare nuovi concerti (i due che avevo selezionato mesi fa hanno esaurito i posti prima che potessi prenotarne uno) o di cantare in produzioni liturgiche, posto un annuncio, che tradotto e rettificato suona così:

Matrimonio presso la tal chiesa (a Vienna), il tal giorno a tal ora.
L'organista suona all'ingresso della sposa. Alla fine del rito verranno fatte delle foto presso l'altare e mi piacerebbe avere un sottofondo musicale, finché la coppia di sposi non esce dalla chiesa. Durante la cerimonia non c'è bisogno di musica.
Paga: €100. I miei suggerimenti:
- ingresso della sposa: Aria dalla Suite n.3 di Bach
- uscita: Canone in re di Pachelbel, Minuetto di Händel, Toccata in sol di Dubois.
Come detto, questi sono pezzi che mi piacciono, ma sono aperta ad altre proposte.

da qui
Questo annuncio si presta a numerose riflessioni sulle diverse convenzioni sulla musica per matrimonio al di qua o al di là delle Alpi. La sposina in questione dimostra di avere una minima conoscenza musicale (la Toccata di Dubois non è da tutti, il resto però non è propriamente repertorio organistico e non si sa a quale minuetto di Händel faccia riferimento, oltre a piccoli errori o riferimenti incompleti che ho corretto per questo post) ma di non formalizzarsi agli standard. Ecco il punto! Gli "standard" che mi(ci) venivano richiesti in Italia (Wagner all'inizio, Mendelssohn alla fine, Ave Marie varie soprattutto Schubert, arie, canoni, Panis Angelicus, Ave verum ed altri brani "celebri" durante la cerimonia) costituiscono un repertorio comune? Stabilito da chi? Sono bastati alcuni telefilm americani per dare ad un balletto fantastico di Mendelssohn l'onore di chiudere le cerimonie nuziali? Mi sembra che i seguitissimi matrimoni reali inglesi, da Carlo&Diana a William&Kate, abbiano proposto ben altre scelte (ad esempio qui)! Eppure ogniqualvolta si propongono melodie alternative, più indicate al luogo di culto o al tema della cerimonia o semplicemente nate per lo strumento che si va a suonare (specialmente in caso di organi storici), si ricevono occhiate sconsolate, perché il matrimonio non sembra valido senza Wagner, Schubert e Mendelssohn e non importa per quale occasione (profana) siano stati composti quei brani. Mah! Santificati dall'uso? Continuo a dissentire, però finché pagano...

non so che strumento sia, cmq da qui
Ecco l'altro punto, la paga. La sposina dell'annuncio versa €100 per due-tre brani che, eccetto uno, sono facili trascrizioni, leggibili a prima vista. Certo, c'è la rottura di dover assistere al matrimonio intero senza far nulla, ove magari si prodigheranno chitarristi e coretti improvvisati (ahimè, sono arrivati anche qui!). In Italia, dovendo generalmente sostenere l'intera messa (ritardi della sposa e lungaggini del sacerdote e dei parenti compresi), la cifra richiesta può essere anche molto più alta (ovviamente-ahimè bis-in nero), anche se devo ammettere di non aver mai ricevuto più di €100. L'inghippo non è tanto quanto viene pagato l'organista, ma quanto viene pagato l'organista in proporzione agli altri musicisti. Solitamente l'organista non basta perché l'Ave Maria va cantata. Se non c'è il parente cantante (no comment! 9 su 10 sono peggio dei gatti in amore) si ricorre a qualche "professionista" (altro mare di amatori, i veri professionisti sono pochi) che chiede esattamente la stessa cifra dell'organista, pur esibendosi in un solo pezzo. Ammesso che si tratti di persone con tanto di diploma, col vecchio ordinamento canto erano 5 anni, organo 10. Perché un cantante in proporzione dovrebbe essere pagato di più? Allora preferisco chiamare un amico violinista, violoncellista, oboista, trombettista, flautista, etc. che non solo mi dà una mano anche negli altri brani della cerimonia, ma soprattutto non si prende licenze ritmiche e d'intonazione piuttosto discutibili. Soldi ampiamente meritati! 

Conclusione? Un altro annuncio. Offresi organista per cerimonie nuziali GRATIS a condizione che le si dia carta bianca per il repertorio e per uno strumento solista (anche cantante, ma di mia fiducia, che va pagato).


questione Stokowski

da qui
Il nome Leopold Stokowski a molti non dirà nulla, nemmeno a me fino non molto tempo fa, quando ho collegato alcune trascrizioni (forse sarebbe più corretto scrivere rielaborazioni) per orchestra di lavori di J.S. Bach con la sua mano. Il web è pieno e non intendo addentrarmi né nell'elenco né sull'opportunità o meno di tale lavoro. Credo che la gente dovrebbe sapere che Bach è stata la fonte d'ispirazione ma anche che quello che ascoltano non è (quasi) più Bach. Detto questo bisogna dargli il merito di aver avvicinato alla musica classica generazioni intere, grazie all'uso fattone nel cinema (vedi Fantasia e sospetto anche The Aviator).

Come augurio di Pasqua mi soffermo su una sua rielaborazione, visto che il panorama musicale sampietrino (del mio paese italico) non offre nulla che valga la pena di essere qui menzionato. Si tratta del IV movimento della cantata BWV 4 "Christ lag in Todesbanden", corrispondente alla III strofa dell'omonimo corale, che deriva dal nostro "Victimae paschali". Questa rielaborazione non ha nulla a che vedere con l'originale (concedetemi K. Richter che apprezzo qui perché usa l'intera sezione vocale invece dei solisti), se non le note. Ciononostante è molto bella, è completamente trasfigurata. Potrebbe benissimo essere Brahms (ascoltare questo corale per confronto). Il testo, l'adagio improvviso su una parola (vedere il testo per capire), la forza del contrappunto in semicrome, il tempo più pacato e l'orchestrazione più densa... non esiste alcuna questione, ha fatto un buon lavoro. Felice Pasqua!

da Bach a Reger: un week-end in musica

Anche quest'anno la Lutherische Stadtkirche ospita la Bachwoche. Tra i vari appuntamenti musicali, ne menziono due cui ho partecipato in prima persona, cantando nel coro. 

Il primo è stato un concerto dal titolo "Wer so stirbt, der stirbt wohl", con il seguente programma: il mottetto "Herr, sei gnädig" di Mendelssohn, Kyrie, Christe, Kyrie (manualiter) dalla III parte del Clavierübung di Bach, la cantata per solo, oboe, violino, coro ed organo "O Haupt voll Blut und Wunden" di Reger, il preludio corale BWV 662 per organo, il corale "O Haupt voll Blut un d Wunden" per coro, il duetto BWV 802 e la Fuga BWV 579 di Bach, ed infine il Passionsgesang op. 46 per coro ed organo di Rheinberger. Programma nutrito, da Bach a Reger passando per Mendelssohn, che fece riscoprire Bach, e da Rheinberger, insegnante di Reger. Per l'occasione il coro della Chiesa Luterana si è unito all'Albert Schweitzer Chor, sotto la direzione comune di Erzsebet Gered e l'accompagnamento organistico di Matthias Krampe (normalmente direttore dell'ASC). Il mezzosoprano solista per la cantata di Reger è stata sostituita all'ultimo momento, purtroppo non conosco il nome della sostituta, che ha egregiamente svolto il suo compito, dotata di bella voce e grande umiltà, per cui le si perdonano facilmente piccole imprecisioni di lettura. Vinte le diffidenze iniziali tra coristi, il risultato è stato di alto livello. Tra M. Krampe ed E. Gered si è creata da subito un'intesa perfetta. Le difficoltà tecniche e le piccole imprecisioni vocali dei coristi sono passate in secondo piano rispetto ad un'interpretazione profonda e dinamica, che ha reso il tutto di grande spiritualità, in linea con il tempo di Quaresima. Da notare il Passionsgesang di Rheinberger, di raro ascolto (ne esiste una sola incisione che io sappia), immeritatamente poco noto ed eseguito.

Il secondo appuntamento è stata l'abituale cantata BWV 182 "Himmelskönig, sei wilkommen" durante il culto della Domenica delle Palme. Come l'anno scorso, i solisti sono stati Katrin Auzinger (contralto), Stephan Su (tenore) e Ernst Istler (basso), mentre l'ensemble strumentale era composto da Ruth Bruckner (flauto dolce), Maximilian Bratt (violino), Iris Trefalt e Saverio Ruol (viole), Arne Kircher (violoncello) e Tena Novosel (basso continuo al positivo). Purtroppo la stanchezza per il concerto la sera precedente s'è fatta sentire, ma l'intesa tra ensemble strumentale (in parte lo stesso dell'anno scorso) ed il coro è indubbiamente aumentata, rendendo tutto più facile. La cerimonia è stata toccante come al solito, grazie anche all'esecuzione di due corali (Aus tiefer Not schrei ich zu dir e Wer hat dich so geschlagen) nelle armonizzazioni di Bach, pur se la liturgia era lontana dalle domeniche di Passione cattoliche cui sono abituata.

A chiusura devo ammettere che ho cantato con un pizzico di malinconia, perché probabilmente questa è stato l'ultima volta che ho preso parte alla Bachwoche, visto che per lavoro potrei dover lasciare Vienna tra qualche mese. Sicuramente portando un buon ricordo di questa piacevole esperienza ovunque sia destinata ad andare!

Die Thomaner

Grazie al blog su Karl Richter mi sono imbattuta nel trailer del film "Die Thomaner", appena uscito in Germania. Non so se e quando arriverà in Austria, in Italia credo mai, visti gli esempi recenti.

Come intuibile dal titolo, si tratta di un documentario sul coro della chiesa di San Tommaso a Lipsia, in occasione dei festeggiamenti per i suoi 800 anni di età. Già, 8 secoli! Non so se sia il coro di bambini più longevo al mondo, il Dresdener Kreuzchor è lì, mentre il coro della Sistina è più giovane di almeno un paio di secoli. Tra i partecipanti più celebri ricordiamo Carl Philipp Emanuel Bach, Günther Ramin, e Christoph von Dohnanyi, ma il nome di questa istituzione è ormai universalmente associato a Johann Sebastian Bach, cui è dedicata la statua a lato alla chiesa voluta da Mendelssohn e che in questa chiesa è sepolto.

Da quello che si evince dal trailer, il film presenta la vita delle nuove generazioni iscritte alla Thomasschule, dall'educazione musicale allo svago. I registi sono Paul Smaczny and Günter Atteln, due che non sono nuovi alle produzioni musicali. Sicuramente il documentario avrà un carattere "agiografico", celebrativo, sorvolando multi punti interrogativi, ma una simile pecca è trascurabile nel meritato encomio di un'istituzione che non solo è sopravvissuta a guerre, scismi religiosi (evidentemente è nata prima del proclama di Lutero), regimi, crisi economiche, etc., ma che risulta ancora interessante ed attraente per i ragazzini d'oggi nonostante il recente abnorme sviluppo della tecnologia.

Non so se il film sarà all'altezza delle aspettative, il trailer è geniale. Non riesco a trattenere le lacrime ad ogni visualizzazione e non riesco a spiegarmene il perché. Forse per il Mendelssohn iniziale ("La grotta di Fingal"), forse per il Bach successivo ("Et resurrexit" e "Dona nobis Pacem" dalla messa in si min. BWV 232), forse per  i contrasti (evidenziati nel trailer) tipici di questa scelta e di questa età, forse per il vedere bambini con tagli di capelli alla Justin Bieber che passano dal classico urlo barbarico del tedesco ad una partita di calcio alle melodie più soavi, con la serietà di un adulto,... tutto contribuisce a creare un alone di straordinario estraniamento... che tocca nel profondo la nostra sensibilità. Spero vivamente di poter postare a breve una vera e propria recensione del film intero, sempre che riesca a vedere qualcosa tra le lacrime.

P.S. Penso che la visione di questo film sia particolarmente consigliata a tutti quei presunti direttori (e direttrici soprattutto) di cori di bambini in Italia che propinano canzonette prive di senso musicale e liturgico a degli indisciplinati ed annoiati fanciulli, dirigendoli in modo ridicolo, senza curare respirazione, emissione della voce, educazione musicale... in altre parole, sottovalutando la loro intelligenza e la loro sensibilità. Qualche anno fa ci fu un altro bel film su un coro di bambini, Les Choristes, ma forse aveva edulcorato la lezione con troppo sentimentalismo romanzesco per risultare efficace.

ritorno alle origini?

Ieri sera, a cena da un'amica dotata di pianoforte, ho strimpellato indegnamente la BWV565, sfogliando un libro che conteneva anche molti canti religiosi, nostalgica del periodo in cui quella era la mia quotidianità. Non escludo che anche la mia amica in fondo in fondo rimpiangesse un po' quel tempo. In realtà questa introduzione è fuorviante per il tema del post, che riguarda la Passacaglia BWV582. Un altro tuffo nel passato!

Non voglio ripercorrere qui la mia tormentata relazione con questo brano, ma proporre un ascolto che, secondo le ricerche filologiche, dovrebbe essere la versione autentica. Lo trovate a questo link.

da qui
Che strano! Persone come Andrea Marcon ci hanno abituato ad esecuzioni in organo pleno, con rigorosi tempi veloci ma costanti, sostenendo che questo fosse il desiderio di Bach, tanto da esplicitarlo in un autografo... ed ora sentiamo una leggiadra esecuzione su clavicembalo a pedali (credo, però, che lo strumento opportuno dovrebbe essere clavicordo a pedali), con cambi di tempo e di "registrazione", ritmi francesi ed abbellimenti, che ci viene spacciata per la versione che Bach stesso avrebbe composto e suonato? Dove sta la verità?

Azzardo un'ipotesi. Non potrebbe essere, come sostengo da anni, che Bach eseguisse in modo diverso lo stesso brano a seconda dell'occasione e dello strumento? Se accettiamo questo, perché allora demonizzare versioni parimenti ispirate ma più godibili per un pubblico più vasto, come quelle di Karl Richter (che mi ha fatto innamorare della musica per organo) o di Francesco Finotti (frutto della ricerca di una vita)?

Non voglio far polemica, solo lasciare il beneficio del dubbio, che sta alla base dello spirito critico. È vero, mi brucia ancora l'accusa al diploma di aver cambiato tempo tra una variazione e l'altra, impossibilitata a cambiare manuale e registrazione per le fantomatiche regole della prassi esecutiva, anche se stavo suonando un moderno organo eclettico con trasmissione radio. 

E qui torno all'introduzione, perché ieri sera non avevo a disposizione né un organo meccanico né la trascrizione pianistica di Busoni. Come fare? A rigore avrei dovuto evitare di rovinare un simile capolavoro (forse nemmeno di J.S. Bach) non essendo nelle condizioni di eseguirlo nel modo corretto. Invece no! Altra occasione, altra versione: una riduzione casalinghe, improvvisata, incerta, non professionale, ma che a mio parere si è avvicinata di più all'ambiente familiare di casa Bach. Con un sorriso, lo spirito del tempo è salvo!

"In ihm sterben wir zur rechten Zeit, wenn er will"

Gustav Leonhardt, colui che impersonò Bach in un noto film, che solamente il mese scorso era a Vienna per un concerto su un organo storico, e che, più seriamente, è stato in qualche modo il padre della prassi esecutiva, è mancato ieri. Dalla BWV 106 (nel link, da lui diretta):

Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit.
In ihm leben, weben und sind wir, solange er will.
In ihm sterben wir zur rechten Zeit, wenn er will.