Orchestra vs. organo

Il mio sabato sera è stato nuovamente all'università per la musica, per il concerto di gala di alcuni studenti di direzione d'orchestra. Sul podio si sono alternati: Batughan Uzgören, Katharina Wincor, Jera Petricek Hrastnik e Roger Diaz Cajamarca, dirigendo brani di Brahms, Beethoven, Prokovief e Honegger, con l'orchestra da camera dell'università, di cui Giulia, la violinista di cui parlai qualche tempo fa, era primo violino. Concerto interessante nel complesso. I giovani direttori sono ancora acerbi ed hanno chiaramente pagato le poche prove con l'orchestra. Della compagine mi sento di salvare Jera Hrastnik, per la ricerca di un dialogo con l'orchestra anche dopo il concerto. Gli aspetti positivi della serata sono stati il vedere un gruppo quantomai internazionale ed eterogeneo andare d'accordo nella musica ed il conoscere un'opera di Honegger che non avevo mai sentito e che mi verrebbe voglia di trascrivere per organo.

Questo concerto mi fornisce l'opportunità di parlare di altri due eventi in qualche modo legate a tale serata. Prima di tutto il concerto di laurea di Giulia, sentito qualche settimana fa, ove la violinista ha data una prova di maturità musicale di altissima qualità, giustamente premiata con il massimo dei voti e la lode. Non solo per l’abilità tecnica, ma anche per la scelta e la preparazione dei brani, con un repertorio non scontato ed una particolare cura per Schnittke, su cui ha scritto la tesina. Sentiremo ancora parlare di lei. Al concerto di laurea di Giulia ho rivisto anche un amico conosciuto al conservatorio di Padova, compositore, violinista, direttore d’orchestra e, per passione, anche organista, che si è laureato a Vienna in direzione d'orchestra l'anno scorso (con lode) e che ora sta terminando gli studi in direzione di coro e con cui ho avuto l'onore di suonare (sue composizione) un paio di volte prima della partenza per Vienna, Stefano Torchio.

Stefano si è un po' risentito che non abbia ancora parlato nel blog del suo lavoro di laurea: l'orchestrazione della Priere di C. Franck. Avevo i miei motivi: non ero presente al concerto, tenutosi prima del mio ritorno definitivo in città, e temevo di essere troppo condizionata dal mio rapporto col pezzo. Temevo di essere imparziale nel parlare della sua trascrizione perché abbiamo “studiato” con lo stesso maestro e perché Priere è stata per me la chiave per iniziare ad apprezzare e capire Franck, essendo l'unico pezzo di questo autore che istintivamente amavo. In conservatorio Franck mi era stato presentato in modo orribile ed incompleto ed all'inizio l'avevo totalmente rifiutato. C’è voluto molto tempo, ci sono voluti i concerti e le lezioni di Francesco Finotti, infine c'è voluta l’esperienza in Belgio, ove Franck è nato, con gli organi dell'epoca per iniziare a gustare questo raffinato compositore. Ora, più leggo le sue opere organistiche e più lo sento orchestrale. Forse per un sentimento d’inferiorità (purtroppo comune tra i Belgi verso i vicini Francesi e Olandesi), Franck ha scritto relativamente poco per orchestra in quella Parigi che pullulava di compositori. Il suo stile organistico si scosta da quello dei coevi e di chi l’ha seguito.


Tornando al lavoro di Stefano (che potete ascoltare qui sopra), dire sublime sarebbe ancora poco. Il titolo e la strumentazione hanno relegato il brano originale ad un’esecuzione esclusivamente ecclesiale. Invece si tratta di un piccolo poema sinfonico dal tema semplice che diviene ora consolante, ora entusiasmante, ora accorato, ora rassegnato. Un po’ come la nostra preghiera, magari fatta ripetendo delle formule, ma con intenzione totalmente diversa a seconda della nostra situazione. 

Le trascrizioni orchestrali di brani organistici non sono una novità, si pensi per esempio a Stokovski, di cui parlai qui. In quel caso, però, l’originale bachiano era stato completamente stravolto. Invece in Franck l’orchestrazione non è una forzatura. Semmai la versione organistica originale suona quasi come una riduzione. Stefano ha fatto un ottimo lavoro, liberando la farfalla che era nascosta nel bruco organistico. 

La domanda che mi pongo è ora come rendere tutto ciò con l’organo. Così mi sono tornate alla mente quelle prime esecuzioni di Franck che avevo udito in concerto e l’impressione che me ne era rimasta. Era proprio in questa direzione e sentire ora critiche alle acrobazie tecniche e tecnologiche (di cambi di registri) operate dall'organista di allora come finalizzate al solo spettacolo mi fa sorgere il sospetto che l'interlocutore non abbia ancora capito la grandiosità di un compositore che pensa orchestrale scrivendo per il re degli strumenti. Quindi, grazie Stefano per permetterci di apprezzare maggiormente l'opera di C. Franck.

Tra morti e Santi

Il "ponte dei morti", come si usa dire dalle mie parti, è stato ben utilizzato per allargare il mio orizzonte musicale, ascoltando due concerti/celebrazioni particolari: il Requiem di Duruflé e la Messa in la maggiore di Franck.

da link
Domenica 30 nella Marienpfarre, una chiesona di fine '800 nel XVII distretto, si è tenuto un vero e proprio concerto "ecumenico" in tema Duruflé, ricordandone i 30 anni dalla morte. Per quest'omaggio si sono riuniti la Wiener Evangelische Kantorei, il coro della Marienpfarre e l'ensemble pro musica sacra della Pauluskirche, diretti da Martin Zeller, accompagnati all'organo da Wolfgang Capek e con i brani introdotti dalle rispettive melodie gregoriane intonate da quattro elementi della Wiener Choralschola. L'idea di far sentire il canto gregoriano da cui Duruflé ha tratto l'ispirazione è stata particolarmente azzeccata, non solo per comprendere meglio la rielaborazione dell'autore, ma anche per prolungare la mezz'oretta scarsa del Requiem fino alla normale durata di un concerto di almeno un'ora. Il tutto è stato preceduto dalla Toccata dalla Suite op. 5 dello stesso autore. Nel complesso hanno fornito una buona esecuzione, un plauso particolare all'organista, titolare nella Augustinerkirche, che ha confermato la sua abilità allo strumento, in questo caso un modesto Rieger. Duruflé ha chiaramente preso spunto dal lavoro di Fauré, usando i medesimi numeri, quindi rompendo la tradizione delle messe da Requiem dei secoli precedenti. Anche l'uso dei solisti e lo schema compositivo di alcuni brani richiamavano fortemente l'omonima composizione di Fauré. Ho trovato interessante la rielaborazione delle melodie gregoriane, rendendolo un Requiem più accessibile e mistico del precedente e svincolando il ritmo dal tempo classico. Niente di estremamente moderno nelle armonie. In qualche modo ancora figlio dell'ultimo romanticismo francese, a mio parere.


l'organo dell'Alserkirche
Stamattina, nella mia parrocchia, Alserkirche, nel IX distretto, l'ordinario della santa messa è stato cantato dal coro della Wiener Tonkunstvereinigung, diretto da Laura Perez Soria ed accompagnato all'organo da Henriette Nagy. Il coro ha purtroppo dimostrato di non essere abituato a cantare in chiesa, in particolar modo in questa. Sorvolo sulle chiacchiere da mercato in cantoria prima dell'inizio della celebrazione, ma pure il bilanciamento di sonorità tra organo e coro è risultato fallimentare, con l'organo che copriva il coro nella maggior parte dei casi. Le voci erano numerose ma in taluni punti poco curate e talvolta con qualche problema d'intonazione. La pronuncia tedesca di una messa latina composta da un belga che lavorava a Parigi non si poteva sentire. L'organista, invece, ha gestito discretamente lo strumento ed il repertorio, oltre a fornire un buon accompagnamento alla liturgia con interessanti improvvisazioni sui corali ed una frizzante Toccatina di Dubois alla fine. La messa in la di Franck è un'opera articolata, piena di spunti musicali secondo il testo, con un accompagnamento chiaramente orchestrale anche all'organo (con l'aggiunta di un'arpa e di un violoncello). Della messa originaria farebbe parte anche il celeberrimo Panis angelicus, per fortuna non eseguito, oltre al Credo che invece è stato recitato dai fedeli.

Questo repertorio è ingiustamente poco ascoltato. Forse perché in qualche modo di origine francofona. Pur preferendo il Requiem di Fauré, mi farebbe piacere riascoltare e magari cantare la versione di Duruflé. Per quanto riguarda la messa di Franck, probabilmente un ensemble differente ed un'occasione diversa avrebbero reso maggior onore alla composizione, però apprezzo enormemente l'iniziativa, essendo Alserkirche una parrocchia a metà tra centro e periferia, con generalmente poca gente alle celebrazione e di età avanzata. Quello che è normale per l'Augustinerkirche, la Jesuitenkirche o Stephansdom diventa qui una rarità eccezionale.

Luci e suoni del Baltico a Vienna

Ieri sera ho assistito ad un concerto di rarissimo ascolto a Vienna. Si trattava di uno spettacolo audio-visivo, con musiche di compositori contemporanei e proiezione d'immagini di paesaggi, cieli stellati e viaggi nella Via Lattea sapientemente alternate con riprese (in diretta?) dei musicisti. Per questa occasione sono tornata all'università per la musica, ma stavolta nella sala Haydn, una piccola moderna sala da concerti. L'ideatore dell'evento, Lothar Strauß, ha sapientemente e simpaticamente introdotto l'iniziativa ed i vari brani e solo alla fine ho avuto la conferma che un'idea simile potesse venire solo da... Berlino. Il professore in questione lavora a Vienna da un anno, ma è nato e cresciuto nella frizzante capitale tedesca.

immagine della Via Lattea
Il concerto ha previsto: "Fratres" di Arvo Pärt (1935- ) per violino, orchestra d'archi e percussioni, "Ballata per arpa ed archi" di Einojuhani Rautavaara (1928-2016) ed il concerto per violino ed orchestra d'archi "Fernes Licht" (luce lontana) di Peteris Vasks (1946- ). L'orchestra da camera dell'università diretta da Vladimir Kiradjiev ha accompagnato le soliste Anastasia Harazade, Angela Rief e Indre Dromantaite. Quindi compositore estone, finlandese e lettone rispettivamente. Musicalmente Pärt è una rassicurante conferma. Ha un suo stile, scarno, fatto di suoni da ammirare singolarmente. Il brano si presterebbe benissimo ad essere adattato per violino ed organo ed è strano il compositore non l'abbia ancora fatto, nonostante le varie trascrizioni del pezzo per gli ensemble più vari. Rautavaara non mi ha colpito, vi ho trovato troppi "effetti speciali" ma niente di memorabile. Vasks, invece, è stata un'intensa e piacevole scoperta. Il suo concerto per violino ripercorre un po' la storia della musica, inserendo tecniche di vari secoli, ma allo stesso tempo è in una complessa e ben organizzata forma circolare. Come ha detto Strauß, non è da escludere un intento teologico nella composizione. L'orchestra se l'è cavata, il repertorio non era affatto facile. Il primo violino mi ha dato l'impressione di un carro armato, ma l'importante è il risultato. Le soliste sono state tutte brave. Nell'ultima traspariva la tensione ma effettivamente il brano era tecnicamente non facile. La sincronizzazione immagini-musica non era perfetta, in particolare i musicisti comparivano sullo schermo sempre un pizzico in ritardo rispetto a quanto suonato. Non avendo visto altre telecamere tranne una girevole posta di lato, credo che le riprese non fossero in diretta. Doppia fatica, quindi, coordinare il tutto a tempo.

Questo concerto fa parte di una serie di eventi dell'università in cui altri concerti con musica contemporanea e di provenienza "nordica" si alternano a mostre e proiezioni dell'istituto di cinema. In questo caso sono venuta a conoscenza dell'iniziativa grazie alla violinista di cui ho raccontato in precedenza, che qui suonava nell'orchestra d'archi, ma credo di mettere in programma altri concerti del festival. Come detto, una cosa simile è più unica che rara in una città musicale ma un tantino fossilizzata nell'accademismo come Vienna.

Orgeltag, il giorno dell'organo

Sabato scorso, 15 ottobre, ho partecipato alla IV edizione della giornata dell'organo.Dalle 14:30 alle 23 si sono succeduti concerti nelle chiese più note della città, dall'organo più antico al più recente, con il solo scopo di sensibilizzare la gente alla presenza di questo strumento. Mi sarebbe piaciuto si fossero unite anche le sale da concerto, per sfatare il mito che l'organo sia uno strumento prettamente da chiesa, ma magari la prossima volta.

foto da Wikipedia
Il programma completo si trova qui. Ovviamente ho dovuto fare una selezione, tra l'altro saltando a piè pari tutte le esecuzioni degli studenti delle locali scuole di musica. Causa altre priorità ho intenzionalmente perso il primo concerto alla Dominikanerkirche ma mi sono trovata poco prima delle 16 in Michaelerplatz con un’amica che mi ha accompagnato per tutta la maratona organistica. Potevamo scegliere tra l’Augustiner- e la Michaelerkirche ed abbiamo optato per quest’ultima per l’organo storico (inizio 1714).  Strumento che non delude mai, anche perché Manuel Schuen, l’organista, vi suona da anni. Avrei gradito qualche azzardo in più nella registrazione, che invece era rigidamente consona al repertorio (Kerll, Frescobaldi, Böhm, etc.). Due particolari non musicali hanno stonato: l’insistenza nel chiedere un’offerta da parte del parroco, tenendo conto che in questa chiesa già tengono regolarmente concertini per turisti per finanziare il recente restauro dello strumento, e la richiesta del programma all’uscita, un semplice A4 fotocopiato in cui facevano pure pubblicità alle altre iniziative musicali della parrocchia ed ai CD da loro prodotti.

foto da Wikipedia
Non siamo rimaste fino al termine perché alle 16:30 iniziava un altro concerto alla Jesuitenkirche. Qui, prima abbiamo sentito la studentessa moldava Cristina Galusca in Bach (Concerto Bach-Vivaldi in re minore BWV596), Mendelssohn (VI sonata op. 65/6) e Reger (fantasia corale su “Wachet auf, ruft uns die Stimme” op. 52/2) e poi il suo insegnante Michael Gailit in Bach (Partita su “Christ, der du bist der helle Tag” BWV766 e preludi corali su “Allein Gott in der Höh sei Ehr” BWV662-664 dalla collezione di Lipsia) e Schmidt (Ciaccona in do diesis minore). La prima ha pagato la giovane età e l’inesperienza. Non ha saputo gestire bene i registri e l’interpretazione era scolastica ed immatura. In Bach il primo allegro era troppo lento (o meglio, privo di ritmo), mentre l’adagio era troppo veloce e poco lezioso. La seconda variazione sul corale in Mendelssohn era confusa, causa registri errati al pedale. Tecnicamente le sbavature erano trascurabili, ma appena l’insegnante ha iniziato a suonare pure la mia amica, non organista, ha convenuto che sembrava di sentire un altro strumento. Lui sì conosceva bene come far tremare le pareti della chiesa o raggiungere il limite dell’udibile, come pulire i suoni, gestire il fraseggio e dare un senso alla composizione. Per carità, nulla di eccezionale, semplicemente la mano navigata di qualcuno che evidentemente conosce l’organo e l’ambiente in cui si trova. La ciaccona di Schmidt resta per me un pezzo troppo lungo e difficilmente digeribile.

Wöckherl-Orgel, foto da Wikipedia
Per le 19 eravamo nella Franziskanerkirche per un concerto alquanto inusuale: serie di improvvisazioni con l’organo Wöckherl (1642, con temperamento mesotonico), l’organo Rieger (equabile) e voce. Allo strumento contemporaneo c'era Manfred Tausch, allo strumento antico, al positivo ed incaricato della presentazione Johannes Ebenbauer ed il soprano era Susanne Kurz. Oltre ad essere piuttosto bravi nell’improvvisare in diversi stili, hanno mostrato un certo affiatamento nel suonare assieme. Interessante combinazione tra  organi così diversi. L'impatto iniziale ha fatto sembrare lo strumento antico “stonato” e modesto rispetto al possente Rieger ma poi la bellezza delle armonie e dei registri dello strumento storico ha prevalso sull'impersonalità di quello moderno.

Dopo una tradizionale cena viennese, innaffiata dal mio primo Sturm, abbiamo fatto a tempo a sentire parte dell’ultimo concerto della giornata, a Stephansdom. Ascoltare musica nella cattedrale di sera assume sempre i contorni di un’esperienza mistica, probabilmente per l’oscurità, le dimensioni della chiesa e l’acustica. Konstantin Reymaier ha eseguito sul nuovo Rieger Bach, un’improvvisazione e una trascrizione del celeberrimo adagio dalla VII di Bruckner, per terminare con una piccola improvvisazione sulla ninna nanna di Brahms. Anche qui nulla di eccezionale, ma l’organo merita e l’ambientazione è unica. L’unico rammarico è storico, perché Bruckner ha prestato regolare servizio come organista ma ha composto poco o nulla per questo strumento, nonostante sui nostri libri di storia della musica si dica che il suo stile compositivo risenta della formazione organistica.

Conclusione. Come la lunga notte delle chiese, credo sia un’iniziativa da ripetere e copiare. Ancora troppe persone si rifiutano di mettere piede in chiesa per paura di non so cosa e così facendo si perdono grandi opere d'arte. Indipendentemente dalla fede o qui anche dalle tasse, la musica come la pittura sono state finanziate in passato dalla Chiesa e non possono essere da questa svincolate. Inoltre molte persone non sanno che un organo ha una pedaliera che copre due ottave e mezza, che gli spartiti per organo sono scritti su tre righi per questo motivo, non sanno cosa sia un registro e quanto complesso ed evoluto sia il meccanismo di funzionamento di questo strumento, non sanno nulla di temperamenti ed accordature, etc. Associano l'organo solamente a noiosi accompagnamenti dei canti durante la messa, senza nemmeno immaginare che quello strumento ha il potenziale di un'orchestra intera. Il 75% del repertorio organistico non è prettamente liturgico. In tutto il pomeriggio ho sentito solo qualche corale che può essere quindi definito musica sacra, tra l’altro corale luterano in chiesa cattolica. Per il resto, tra preludi, ciaccone, toccate e canzoni non c’era nulla di “religioso” se non l'ambientazione. Speriamo di aver demolito qualche pregiudizio!

Metti una sera in conservatorio a Vienna

Dopo le consuete 10-11 ore in ufficio, qualche sera fa sono andata all’università musicale per assistere ad una prova pre-laurea di una violinista ed una violista. Ho conosciuto la violinista, italiana, durante le riprese di un documentario in cui entrambe abbiamo partecipato come comparse. Stanchezza e fame (non avevo cenato) sono passate all’istante appena varcata la porta di quel solenne edificio tutto illuminato in una fredda e buia serata d’autunno. Nell'aula c'erano già altri amici e conoscenti delle due laureande, tutti musicisti e di varie nazionalità. Il programma delle due ragazze era impressionante, specialmente per la violinista. Oltre a qualche solo, erano previsti anche passi di concerto accompagnati al pianoforte da una collega. Per un'ora e mezza sono stata trascinata nelle spire di Schubert e poi sulle vette di Brahms, passando per il ritmo travolgente di Bartok e la spensieratezza intelligente di Mozart. Un vortice senza fine. Anche di ricordi, dei tempi del conservatorio, i miei vent’anni, delle lezioni di solfeggio che impartivo dopo il diploma (complice la lavagna pentagrammata) e della mia prima esperienza viennese, quando giravo ovunque con la bici come questi ragazzi seguendo tutti i concerti gratuiti offerti dalla città. Alle 21:30 abbiamo dovuto scappare perché altrimenti non avrebbero più concesso aule per studiare alle due ragazze (sempre meglio del Pollini ove ai nostri tempi alle 18:30 sbattevano fuori se non c’era l’insegnante e trovare un’aula per studiare era sempre un’impresa impossibile). La serata è proseguita con una birra internazionale e musicale, in un locale pieno di fumo (sì, qui è ancora ammesso) e di studenti del conservatorio. Una tipica serata viennese bohemien.

© Universität für Musik und darstellende Kunst Wien
Dal punto di vista musicale, ho avuto l'occasione di riflettere sul nostro modo di fare musica. Entrambe le ragazze hanno dimostrato una buona preparazione di base, eppure ognuna rispecchiava l'origine. La violista francese gigioneggiava, le veniva naturale. Il repertorio romantico l’aiutava molto, un po’ meno Bartok. Nella violinista italiana, invece, trasparivano l'emozione e l'atteggiamento ipercritico verso se stessa. Ha mostrata un'abilità tecnica impressionante, con minime sbavature che non sarebbero nemmeno state notate se lei stessa non ci avesse dato tanto peso. Acciderbola, mi ci sono riconosciuta! I nostri insegnanti (anche in campo scientifico) ci hanno instillato l’insicurezza, talvolta per la loro ansia da prestazione, talvolta per poter mantenere il loro potere su di noi, talvolta per frustrazione (senza una carriera concertistica in corso) e talvolta per desiderio di stimolare l'allievo a dare il massimo e spiccare il volo. Finché non s'incontra l'insegnante che ci dà fiducia o non si raggiunge da soli la pace con se stessi, ci fissiamo degli standard di perfezione che proprio perché irraggiungibili umanamente ci lasceranno sempre insoddisfatti delle nostre performance. Nel caso della violinista, senza motivo, perché anche a livello interpretativo ha mostrato una maturità di tutto rispetto, decisamente maggiore di quella della collega francese, che suonava tutto più o meno con lo stesso approccio. Nel primo movimento del concerto di Brahms mi è venuta letteralmente la pelle d’oca! L'esito dell'esame le ha riconosciuto il talento che già in una semplice prova casalinga aveva mostrato. Mi auguro un giorno di sentirla per radio o meglio ancora dal vivo al Musikverein come solista.

Restando in tema autocritica, abbiamo il terrore del giudizio degli altri ma i primi insoddisfatti siamo noi stessi. Ci perdiamo il piacere di far musica, non ci rendiamo conto di essere dei privilegiati. Essere stata invitata ad una serata simile per me è valso più di una cena a base di pesce nel migliore ristorante della città. Eppure temo che solo chi abbia pianto e sudato cercando di sistemare un passaggio tecnico complesso, solo chi ha dovuto aspettare anni prima di suonare un pezzo decente e solo chi non ha smesso mai d’imparare e guarda con la curiosità e l’entusiasmo di un bambino qualsiasi nuovo spartito possa apprezzare fino in fondo un'occasione simile e godersela pienamente. Il vantaggio della musica è che può essere goduta a vari livelli anche senza averla studiata, nonostante potendola capire ci si trova come dopo aver imparato una lingua straniera e finalmente poter leggere un libro o vedere un film in lingua originale. In questo caso particolare non era tanto il comprendere il linguaggio musicale l'aspetto fondamentale per apprezzare la serata, quanto piuttosto la condivisione dello sforzo, degli anni, dell'ansia dell'esame, della paura del parere di chi ci conosce, etc. ossia del mettersi a nudo di fronte ad un pubblico. Tutto sommato, a posteriori, il rinfrescarsi di un'emozione complessa che ha lasciato una cicatrice di ricordi positivi e dolorosi allo stesso tempo.

La prima volta di Mrs. Pinkerton

La stagione del Filmfestival al Rathaus volge al termine e mi sono concessa un'ultima serata grazie alla compagnia di un'amica e collega tedesca. L'occasione perfetta era la proiezione della Madama Butterfly di Puccini nell'allestimento del Metropolitan del 2009, con Patricia Racette (Butterfly), Marcello Giordani (Pinkerton), Maria Zifchak (Suzuki), Dwayne Croft (Console), diretto da Patrick Summers con la regia del compianto premio oscar Anthony Minghella.

È stata la prima volta per me con Butterfly per intero (link ad una versione critica). Ho rafforzato la mia opinione, adoro Boheme e Tosca, ma le altre opere di Puccini non m'ispirano allo stesso modo, le trovo troppo… “urlate” per i miei gusti antiquati. Nel caso di Butterfly ci sono momenti sublimi, bisogna ammetterlo, inoltre la storia è molto moderna e coinvolgente. Ciononostante ho trovato strano udire un fugato, pur se ben fatto e basato su una citazione, nella sinfonia iniziale. Per un attimo ho creduto di aver beccato Mozart (Zauberflöte per esempio)!

Il bimbo con l'ingombrante presenza dei 3 burattinai
I cantanti se la sono cavata egregiamente. Butterfly molto espressiva, anche se chiaramente più vecchia dei 15 anni previsti dalla storia, quindi l’atteggiamento da bambolina ed ingenuo suonava manierista. Suzuki brava. Entrambe, però, non hanno curato molto la pronuncia. Pinkerton, chiaramente italiano, ha reso il carattere più mediterraneo che americano, ma egregiamente. Il console ha mostrato una grande forza drammatica. Goro se l’è cavata ma non so se intenzionalmente o meno è diventato una macchietta forzatamente effemminata. Bello l’adattamento con richiami al teatro giapponese, pur forse con qualche minima svista o forse voluto adattamento alla mentalità USA (davvero trascurabile). Non ho apprezzato la scelta di usare un burattino (animato da ben 3 persone) per il figlio. Al di là della tradizione giapponese e della simbologia che qualcuno ha voluto vedere nel rendere la solitudine e la discriminazione che vivrà il bimbo, avrei preferivo vedere un fanciullo in carne ed ossa come sempre. Probabilmente dal vivo in teatro i tre burattinai mascherati di nero quasi non si notavano, ma nelle riprese video erano un fattore di disturbo e distrazione.

Bella serata. Freddina ma limpida. Dubito riuscirò ad assistere ad altre proiezioni per quest'anno. In compenso tra poco inizia la stagione alla Staatsoper, ove potrò finalmente godere di opere dal vivo, magari quest'anno mi concedo pure un Wagner.

Bibbia e Bach, donne e saggezza

Per l’ennesima volta a Berlino per un convegno e per l’ennesima volta ho fortuitamente assistito ad un’interessante iniziativa musicale. Nella chiesa luterana Jesus-Christus della comunità di Dahlem, storicamente attiva in campo musicale, a due passi dal centro congressi, per sei domeniche un attore leggerà passi dalla Bibbia intervallati con musiche di Bach per organo, sul tema “Donne e saggezza”. Tra gli attori presenti ci sarà anche Martina Gedeck, resa famosa alle nostre latitudini grazie al film “La vita degli altri”.

Logo dell'evento
Domenica 7 agosto ho beccato il capitolo di Ruth, letto da Heikko Deutschmann e commentato musicalmente dall’organista Anna-Victoria Baltrusch, con la Toccata e Fuga in re min. dorica BWV 538, il preludio corale sul “Vater unser” BWV 682 e sul “Komm heiliger Geist” BWV 651, entrambi dalla collezione di Lipsia, e l’Adagio dalla Toccata, Adagio e Fuga in do maggiore BWV 564.


L'organo in questione
La giovane organista se l’è cavata egregiamente, anche se l’interpretazione era un po’ troppo scolastica ed acerba per i miei gusti. La fuga della dorica è un monumento finemente cesellato, non un mattone da terminare prima possibile in organo pleno. L’organo avrebbe permesso ben più ampie possibilità, date le dimensioni. La scelta dei brani si accordava bene al testo ed il lettore (austriaco) ne ha dato un’ottima interpretazione. La chiesa era piena e non tutti avevano i capelli bianchi. Al solito, offerta libera al termine per sostenere la musica liturgica e quindi anche iniziative come queste. Essendo la chiesa luterana, nonostante l’alta tassa (quasi il 10%, altro che il nostro 8 per mille!), le offerte sono in banconote. Non perché la gente sia particolarmente più ricca in questo angolo di Germania (anzi le statistiche dicono che Berlino abbassi la media tedesca) ma perché è più sensibile alla questione musicale rispetto alla media europea. Nella chiesa luterana la musica è una parte fondamentale della liturgia. Senza musica il culto sarebbe come una messa da noi con il parroco in calzoncini e maglietta.

Bellissima idea che permette di conoscere testi magari meno frequentati della Bibbia e di avvicinare tutti alla teologia della musica bachiana. Senza commenti e chiacchiere aggiuntive ed inutile. Hanno parlato le Scritture e la Musica. Se avessero bisogno di lunghe spiegazioni perderebbero gran parte della loro forza comunicativa. Lodevole l’accento sulla donna, sia con la scelta di testi consoni, sia con la presenza di attrici ed organiste. Magari potesse essere d’ispirazione anche per qualche chiesa italiana!