Il concerto (il film)

Nel mese di febbraio non sono andata ad alcun concerto degno di nota, quindi in attesa di sentire finalmente un'opera di Wagner dal vivo, parlo di un film che ho visto qualche mese fa e che volevo vedere da tempo. Si tratta de “Il concerto”, film uscito nel 2010, quindi sette anni fa, visto dopo averlo preso a noleggio dalla biblioteca del paesino di montagna ove si trovavano in vacanza i miei quest'estate. Quando uscì non feci a tempo ad andare al cinema e non ero ancora abbastanza fluente in inglese per provare a vederlo nella versione doppiata.

La locandina del film
La storia. Un ex direttore d’orchestra russo (impersonato da Aleksey Guskov), che era stato defenestrato dal regime per non aver licenziato gli orchestrali ebrei, intercetta per caso un fax destinato al Bolshoi per un concerto da tenersi a Parigi. In modo rocambolesco rimette assieme l’orchestra con cui suonava 30 anni prima, in gran parte composta da musicisti ebrei, ormai occupati nei modi più svariati. Impone il concerto per violino ed orchestra di Cajkovskij come programma e pretende che la violinista sia Anne-Marie Jacquet (Melanie Laurant). Il perché di questa richiesta si comprenderà verso la fine del film.

Non amo il cinema francese e questo film mi ne ha dato conferma. Dialoghi veloci, assurdi, talvolta scurrili, storia interessante che cade nella burla ridicola e nella commediola, con finale “romantico” ed ovviamente inverosimile. Peccato! Lo spunto iniziale non era male. Un po’ come “Canone inverso”, del nostro Tognazzi, che invece risulta ben costruito. Attenzione, l’ultima mezzora del film è occupata dall’esecuzione PER INTERO del suddetto concerto di Cajkovskij. Per fortuna eseguito nella realtà da Anne-Sophie Mutter (magistrale!) e dall’orchestra sinfonica di Budapest. In ogni caso, gli attori se la sono cavata egregiamente, risultando abbastanza credibili anche quando fingevano di suonare o dirigere. Per i musicofili, notevoli gli interventi musicali, da Bach a Mozart. Nel complesso può essere considerato un filmetto leggero, giusto per rendere meno pesante o più attraente l'ascolto del celebre concerto per violino per chi aborre la musica classica.

Il direttore di coro

Lo scorso 19 gennaio sono nuovamente andata all’università della musica per un concerto. Stavolta si trattava del saggio di fine semestre degli allievi di direzione corale di Ingrun Fussenegger e di Thomas Lang. I primi hanno diretto un coro di studenti di composizione e di tecnici del suono cui anche loro facevano parte, mentre i secondi hanno avuto l’onore di dirigere elementi del WebernStudioChor, accompagnandosi a vicenda al pianoforte (o ai pianoforti). Questo ha determinato anche la diversa scelta del repertorio, più dall’ambito sacro a cappella per i primi e comprendente anche qualche brano operistico per i secondi, oltre a cori da grandi lavori come l’Elias di Mendelssohn e il Deutsches Requiem di Brahms. Per entrambi i gruppi gli autori scelti spaziavano dal rinascimento fino alla contemporaneità.

Il concerto è stato relativamente lungo, dato il numero di aspiranti direttori che si sono susseguiti sul podio (8+16), con una breve pausa ossigenante in mezzo. Oltre a qualche viso già visto in altre circostanze, c’erano pure due vecchie conoscenze, un organista e Stefano, di cui ho più volte parlato. Nel complesso se la sono cavata tutti. Chi ha tentato di dirigere a memoria, chi aveva la partitura orchestrale, chi si è perso con i pianisti in forte disaccordo tra di loro e chi ha trasformato il saggio in uno spettacolo. Dal punto di vista corale le sbavature sono state minime o addirittura assenti. Bello poter avere un coro a disposizione che non ha problemi d’intonazione o di lettura e che è relativamente pronto a seguire l’interpretazione del maestro. Peccato che nella realtà questi ragazzi avranno a che fare con cori di dilettanti, cui pure la corretta respirazione sarà sconosciuta. A parte quei pochi che avranno la fortuna di dirigere cori professionisti. Finché studiano, è giusto che gli aspiranti direttori (e direttrici, in numero crescente) si facciano le ossa con “strumenti” ottimali. Alcuni di loro fanno in parallelo (o hanno già concluso, come Stefano) il corso di direzione d’orchestra, ove è più facile avere davanti un gruppo di professionisti. Due “colleghi” scienziati, che lavorano in settori diversi, si sono uniti come pubblico e sembrano aver apprezzato il concerto, cui è seguita una lauta cena divertita, come ai tempi del conservatorio in Italia.
da qui
La serata mi ha permesso di riflettere sul ruolo del direttore di coro. In tanti anni da corista e da organista accompagnatrice ho visto parecchi direttori di coro, italiani e non. Solo due erano donne e di entrambe ho un buon ricordo in quanto carisma e chiarezza. Ho conosciuto direttori tecnicamente perfetti ma senza capacità d’imporsi sul coro o di dare un’interpretazione non scolastica ai pezzi ed altri dilettanti che comunque portavano a casa brani moderatamente complessi con dignità. Qui vorrei ricordare i direttori di coro più importanti per la mia formazione. Emanuele Pasqualin è stato il primo che abbia mai conosciuto. Ero adolescente ed iniziavo solo allora ad avvicinarmi allo studio strutturato della musica Come insegnante di solfeggio m’invitò ad entrare nel coro di parrocchia che dirigeva. Fu un grande regalo. Il mio contributo nel coro era praticamente inesistente, ma ho imparato molto. Ho anche avuto modo di partecipare al primo concerto dalla parte del “palco”, con un’esecuzione del Requiem di Fauré che per me resta la migliore mai udita, nonostante gran parte dei coristi non fosse in grado di leggere la musica. All’arrivo a Vienna, Erzsébet Windhager-Geréd, Kantorin nella Lutherische Stadtkirche, mi ha dato la possibilità di prendere parte per la prima volta a delle cantate di Bach, realizzando così un sogno. Ho sempre ammirato la sua energia, che riusciva a trasmettere anche ad un coro eterogeneo e stanco dalle giornate di lavoro, oltre all’attenzione al testo ed alla funzione nella liturgia. Rimanendo in tema musicale luterano, merita di essere menzionato anche Christoph Schlütter, il direttore della Ökumenische Kantorei a Bruxelles, con cui ho finalmente imparato a conoscere e ad apprezzare Schütz e Buxtehude. Purtroppo il coro era troppo piccolo o troppo poco preparato per garantire una resa ottimale, ma la sua interpretazione dei brani resta un grande insegnamento per me. Guarda caso, entrambi quest’ultimi hanno completato o stanno completando un dottorato in musicologia e sono luterani o lavorano per la chiesa luterana.

In conclusione, dirigere un coro non è facile, non ci si improvvisa direttori e non basta conoscere la teoria. Ci vuole la capacità di instaurare un’efficace comunicazione con i coristi, d’ispirare rispetto da parte loro senza però intimidirli. Il coro deve diventare un’estensione delle braccia del direttore, come un vero e proprio strumento musicale. Per questo, secondo me, è importante avere tempo per provare e per conoscersi vicendevolmente, anche con attività “sociali”, come è accaduto spesso sia con Erzsebet sia con Christoph e tentativamente anche con E. Pasqualin, ma ero troppo timida, giovane ed ignorante per comprenderlo. Personalmente non ho queste capacità, oltre a non avere la preparazione per dirigere un coro. Fatto curioso, per ben due volte ho iniziato come corista e poi sono stata pregata di accompagnare i cori all’organo. Spero di aver fatto un lavoro decente allo strumento, entrando in sintonia con le intenzioni del direttore. Al momento questo tipo di esperienze mi manca, per mio volere. Sono cambiata e devo ancora trovare il coro "giusto" per l'individuo musicale che sono ora. Per poter crescere ancora.

L'Attesa in compagnia dura meno

L’organo a canne funziona benissimo nell’accompagnamento di molti altri strumenti, voce compresa, ma credo che la tromba sia uno dei pochi strumenti che permetta un vero dialogo con l’organo, senza relegarlo al ruolo di basso continuo. Inoltre, il suono a tratti festoso ed a tratti solenne della tromba si accompagna magnificamente all’atmosfera natalizia. Ecco dunque un concerto perfettamente in tema col tempo, nel tradizionale appuntamento del 26 dicembre a San Lorenzo di Abano Terme, cui ho potuto assistere grazie al mio abituale ritorno in terra natia per le feste.

foto da qui
Programma: G.F. Händel Sinfonia dal Messia (adattata all’organo) e Suite II in re maggiore dalla Watermusic (per tromba ed organo), J.S. Bach Concerto in la minore BWV 593 da Vivaldi (organo solo), G.B. Viviani  Sonata prima per trombetta sola ed organo dai Capricci armonici da chiesa e da camera op. IV, J.S. Bach Nun komm der Heiden Heiland BWV 659 (organo solo), G.F. Händel tre movimenti dalla Sonata in sol maggiore HWV 603b (tromba ed organo), infine come bis una versione per flicorno nella parte del tenore ed organo del corale nel IV movimento della cantata Wachet auf ruft uns die Stimme BWV 140 di J.S. Bach. Alla tromba (e flicorno) Diego Cal ed all’organo Francesco Finotti.

Il programma può sembrare “popolare”, con autori tradizionalmente associati ad una simile compagine, ma le scelte interpretative operate sono state tutt’altro che banali. Il tema del concerto era l’attesa, quindi più d’Avvento, o forse… da fine dei Tempi. Francesco Finotti, organista onorario ad Abano ed autore del progetto di restauro dello strumento, ha mostrato tutti i colori dell’organo in questione, dando l’idea di avere davanti un'orchestra intera più che un semplice strumento a tastiera, specialmente negli interventi solistici. Diego Cal ha abilmente spaziato dall’agilità del trombino in la alla pienezza del flicorno. La collaborazione tra i due artisti ha deliziato il pubblico, forse meno tedesco e turista del solito. Chi segue questo blog, sa quanto apprezzi F. Finotti nel repertorio più “impegnato”, trascendentale, con analisi dello spartito che rasentano gli studi teologici, ma devo ammettere di aver gradito anche questo concerto, preparato con la stessa attenzione dedicata a Liszt o Franck in altre occasioni. L’oretta di concerto è volata piacevolmente, insegnando parecchio ai musicisti presenti. Non esiste repertorio "facile" o "banale", almeno non ne ho udito in questa serata.

Ritorno al Musikverein

Non ricordo l'ultima volta al Musikverein prima di lasciare Vienna, ma ricordo la prima, ben sei anni fa, per sentire Harnoncourt dirigere Monteverdi, con una collega italiana che stava per lasciare la città. A pensarci bene, probabilmente non fu la prima volta al Musikverein, ma per la prima volta presi un posto a sedere, accanto all'organo, invece dei soliti in piedi in fondo. Dopo esattamente sei anni, per la prima volta dal rientro a Vienna, sono tornata al Musikverein, stavolta nella sala Brahms, ma nuovamente con un posto a sedere. L'occasione è stato un concerto in cui suonava Giulia, la violinista di cui più volte ho parlato.

Il programma ha previsto: Purcell Music for the Funeral of Queen Mary, Britten Ciaccona in sol minore da Purcell, Pärt Canto in memoria di Benjamin Britten nella prima parte e l'intera messa da Requiem di Mozart KV 626 nella seconda. Con l'orchestra del Wiener Concert-Verein, con il coro della Radio Croata (che festeggiava 75 anni), diretti da Tonči Bilić, ed i solisti (nel Requiem) Ivana Lazar (S), Ivana Sbrljan (mezzo) Ivo Gamulin Gianni (T) e Ivica Čikeš (B).
la sala Brahms del Musikverein dalla balconata sopra il podio
A parte la scelta un po' funerea, il concerto mi è piaciuto molto. In particolare ho scoperto il Canto di Pärt, autore cui mi sto appassionando sempre di più, nonostante l'essenzialità della composizione rispetto al mio mito, Bach. Purcell è sempre solenne e Britten una gioia per gli orecchi. Non ho condiviso la scelta di alcuni tempi del Requiem, ma nel complesso esecuzioni piuttosto tradizionale, non straordinaria. Nessuno dei solisti ha brillato in modo particolare, il coro ha dato una buona prova, a parte un'occasionale leggera calata dei tenori. Non ho sentito la compagine particolarmente affiatata, eppure lo stesso programma era già stato proposto a Zagabria qualche giorno fa. Forse ha pesato un po' la stanchezza o forse l'impietosa acustica della sala.

Che impressione mi ha fatto tornare al Musikverein? Portandoci un collega che non c'era mai stato, ma che ama e comprende la musica, l'ho rivissuto con gli occhi della sorpresa. Per tutti i dettagli che io avevo dimenticato e che lui vedeva per la prima volta. Il concerto è stato seguito da una piacevole semicena con la violinista di cui sopra e Stefano, il compositore e direttore di cui ho parlato in precedenza. In pochi minuti si è creata una bella sintonia nel gruppo, come difficilmente mi era accaduto quando ho cercato di portare colleghi ad occasioni musicali e viceversa. È bello essere tornata a Vienna!

Orchestra vs. organo

Il mio sabato sera è stato nuovamente all'università per la musica, per il concerto di gala di alcuni studenti di direzione d'orchestra. Sul podio si sono alternati: Batughan Uzgören, Katharina Wincor, Jera Petricek Hrastnik e Roger Diaz Cajamarca, dirigendo brani di Brahms, Beethoven, Prokovief e Honegger, con l'orchestra da camera dell'università, di cui Giulia, la violinista di cui parlai qualche tempo fa, era primo violino. Concerto interessante nel complesso. I giovani direttori sono ancora acerbi ed hanno chiaramente pagato le poche prove con l'orchestra. Della compagine mi sento di salvare Jera Hrastnik, per la ricerca di un dialogo con l'orchestra anche dopo il concerto. Gli aspetti positivi della serata sono stati il vedere un gruppo quantomai internazionale ed eterogeneo andare d'accordo nella musica ed il conoscere un'opera di Honegger che non avevo mai sentito e che mi verrebbe voglia di trascrivere per organo.

Questo concerto mi fornisce l'opportunità di parlare di altri due eventi in qualche modo legate a tale serata. Prima di tutto il concerto di laurea di Giulia, sentito qualche settimana fa, ove la violinista ha data una prova di maturità musicale di altissima qualità, giustamente premiata con il massimo dei voti e la lode. Non solo per l’abilità tecnica, ma anche per la scelta e la preparazione dei brani, con un repertorio non scontato ed una particolare cura per Schnittke, su cui ha scritto la tesina. Sentiremo ancora parlare di lei. Al concerto di laurea di Giulia ho rivisto anche un amico conosciuto al conservatorio di Padova, compositore, violinista, direttore d’orchestra e, per passione, anche organista, che si è laureato a Vienna in direzione d'orchestra l'anno scorso (con lode) e che ora sta terminando gli studi in direzione di coro e con cui ho avuto l'onore di suonare (sue composizione) un paio di volte prima della partenza per Vienna, Stefano Torchio.

Stefano si è un po' risentito che non abbia ancora parlato nel blog del suo lavoro di laurea: l'orchestrazione della Priere di C. Franck. Avevo i miei motivi: non ero presente al concerto, tenutosi prima del mio ritorno definitivo in città, e temevo di essere troppo condizionata dal mio rapporto col pezzo. Temevo di essere imparziale nel parlare della sua trascrizione perché abbiamo “studiato” con lo stesso maestro e perché Priere è stata per me la chiave per iniziare ad apprezzare e capire Franck, essendo l'unico pezzo di questo autore che istintivamente amavo. In conservatorio Franck mi era stato presentato in modo orribile ed incompleto ed all'inizio l'avevo totalmente rifiutato. C’è voluto molto tempo, ci sono voluti i concerti e le lezioni di Francesco Finotti, infine c'è voluta l’esperienza in Belgio, ove Franck è nato, con gli organi dell'epoca per iniziare a gustare questo raffinato compositore. Ora, più leggo le sue opere organistiche e più lo sento orchestrale. Forse per un sentimento d’inferiorità (purtroppo comune tra i Belgi verso i vicini Francesi e Olandesi), Franck ha scritto relativamente poco per orchestra in quella Parigi che pullulava di compositori. Il suo stile organistico si scosta da quello dei coevi e di chi l’ha seguito.


Tornando al lavoro di Stefano (che potete ascoltare qui sopra), dire sublime sarebbe ancora poco. Il titolo e la strumentazione hanno relegato il brano originale ad un’esecuzione esclusivamente ecclesiale. Invece si tratta di un piccolo poema sinfonico dal tema semplice che diviene ora consolante, ora entusiasmante, ora accorato, ora rassegnato. Un po’ come la nostra preghiera, magari fatta ripetendo delle formule, ma con intenzione totalmente diversa a seconda della nostra situazione. 

Le trascrizioni orchestrali di brani organistici non sono una novità, si pensi per esempio a Stokovski, di cui parlai qui. In quel caso, però, l’originale bachiano era stato completamente stravolto. Invece in Franck l’orchestrazione non è una forzatura. Semmai la versione organistica originale suona quasi come una riduzione. Stefano ha fatto un ottimo lavoro, liberando la farfalla che era nascosta nel bruco organistico. 

La domanda che mi pongo è ora come rendere tutto ciò con l’organo. Così mi sono tornate alla mente quelle prime esecuzioni di Franck che avevo udito in concerto e l’impressione che me ne era rimasta. Era proprio in questa direzione e sentire ora critiche alle acrobazie tecniche e tecnologiche (di cambi di registri) operate dall'organista di allora come finalizzate al solo spettacolo mi fa sorgere il sospetto che l'interlocutore non abbia ancora capito la grandiosità di un compositore che pensa orchestrale scrivendo per il re degli strumenti. Quindi, grazie Stefano per permetterci di apprezzare maggiormente l'opera di C. Franck.

Tra morti e Santi

Il "ponte dei morti", come si usa dire dalle mie parti, è stato ben utilizzato per allargare il mio orizzonte musicale, ascoltando due concerti/celebrazioni particolari: il Requiem di Duruflé e la Messa in la maggiore di Franck.

da link
Domenica 30 nella Marienpfarre, una chiesona di fine '800 nel XVII distretto, si è tenuto un vero e proprio concerto "ecumenico" in tema Duruflé, ricordandone i 30 anni dalla morte. Per quest'omaggio si sono riuniti la Wiener Evangelische Kantorei, il coro della Marienpfarre e l'ensemble pro musica sacra della Pauluskirche, diretti da Martin Zeller, accompagnati all'organo da Wolfgang Capek e con i brani introdotti dalle rispettive melodie gregoriane intonate da quattro elementi della Wiener Choralschola. L'idea di far sentire il canto gregoriano da cui Duruflé ha tratto l'ispirazione è stata particolarmente azzeccata, non solo per comprendere meglio la rielaborazione dell'autore, ma anche per prolungare la mezz'oretta scarsa del Requiem fino alla normale durata di un concerto di almeno un'ora. Il tutto è stato preceduto dalla Toccata dalla Suite op. 5 dello stesso autore. Nel complesso hanno fornito una buona esecuzione, un plauso particolare all'organista, titolare nella Augustinerkirche, che ha confermato la sua abilità allo strumento, in questo caso un modesto Rieger. Duruflé ha chiaramente preso spunto dal lavoro di Fauré, usando i medesimi numeri, quindi rompendo la tradizione delle messe da Requiem dei secoli precedenti. Anche l'uso dei solisti e lo schema compositivo di alcuni brani richiamavano fortemente l'omonima composizione di Fauré. Ho trovato interessante la rielaborazione delle melodie gregoriane, rendendolo un Requiem più accessibile e mistico del precedente e svincolando il ritmo dal tempo classico. Niente di estremamente moderno nelle armonie. In qualche modo ancora figlio dell'ultimo romanticismo francese, a mio parere.


l'organo dell'Alserkirche
Stamattina, nella mia parrocchia, Alserkirche, nel IX distretto, l'ordinario della santa messa è stato cantato dal coro della Wiener Tonkunstvereinigung, diretto da Laura Perez Soria ed accompagnato all'organo da Henriette Nagy. Il coro ha purtroppo dimostrato di non essere abituato a cantare in chiesa, in particolar modo in questa. Sorvolo sulle chiacchiere da mercato in cantoria prima dell'inizio della celebrazione, ma pure il bilanciamento di sonorità tra organo e coro è risultato fallimentare, con l'organo che copriva il coro nella maggior parte dei casi. Le voci erano numerose ma in taluni punti poco curate e talvolta con qualche problema d'intonazione. La pronuncia tedesca di una messa latina composta da un belga che lavorava a Parigi non si poteva sentire. L'organista, invece, ha gestito discretamente lo strumento ed il repertorio, oltre a fornire un buon accompagnamento alla liturgia con interessanti improvvisazioni sui corali ed una frizzante Toccatina di Dubois alla fine. La messa in la di Franck è un'opera articolata, piena di spunti musicali secondo il testo, con un accompagnamento chiaramente orchestrale anche all'organo (con l'aggiunta di un'arpa e di un violoncello). Della messa originaria farebbe parte anche il celeberrimo Panis angelicus, per fortuna non eseguito, oltre al Credo che invece è stato recitato dai fedeli.

Questo repertorio è ingiustamente poco ascoltato. Forse perché in qualche modo di origine francofona. Pur preferendo il Requiem di Fauré, mi farebbe piacere riascoltare e magari cantare la versione di Duruflé. Per quanto riguarda la messa di Franck, probabilmente un ensemble differente ed un'occasione diversa avrebbero reso maggior onore alla composizione, però apprezzo enormemente l'iniziativa, essendo Alserkirche una parrocchia a metà tra centro e periferia, con generalmente poca gente alle celebrazione e di età avanzata. Quello che è normale per l'Augustinerkirche, la Jesuitenkirche o Stephansdom diventa qui una rarità eccezionale.

Luci e suoni del Baltico a Vienna

Ieri sera ho assistito ad un concerto di rarissimo ascolto a Vienna. Si trattava di uno spettacolo audio-visivo, con musiche di compositori contemporanei e proiezione d'immagini di paesaggi, cieli stellati e viaggi nella Via Lattea sapientemente alternate con riprese (in diretta?) dei musicisti. Per questa occasione sono tornata all'università per la musica, ma stavolta nella sala Haydn, una piccola moderna sala da concerti. L'ideatore dell'evento, Lothar Strauß, ha sapientemente e simpaticamente introdotto l'iniziativa ed i vari brani e solo alla fine ho avuto la conferma che un'idea simile potesse venire solo da... Berlino. Il professore in questione lavora a Vienna da un anno, ma è nato e cresciuto nella frizzante capitale tedesca.

immagine della Via Lattea
Il concerto ha previsto: "Fratres" di Arvo Pärt (1935- ) per violino, orchestra d'archi e percussioni, "Ballata per arpa ed archi" di Einojuhani Rautavaara (1928-2016) ed il concerto per violino ed orchestra d'archi "Fernes Licht" (luce lontana) di Peteris Vasks (1946- ). L'orchestra da camera dell'università diretta da Vladimir Kiradjiev ha accompagnato le soliste Anastasia Harazade, Angela Rief e Indre Dromantaite. Quindi compositore estone, finlandese e lettone rispettivamente. Musicalmente Pärt è una rassicurante conferma. Ha un suo stile, scarno, fatto di suoni da ammirare singolarmente. Il brano si presterebbe benissimo ad essere adattato per violino ed organo ed è strano il compositore non l'abbia ancora fatto, nonostante le varie trascrizioni del pezzo per gli ensemble più vari. Rautavaara non mi ha colpito, vi ho trovato troppi "effetti speciali" ma niente di memorabile. Vasks, invece, è stata un'intensa e piacevole scoperta. Il suo concerto per violino ripercorre un po' la storia della musica, inserendo tecniche di vari secoli, ma allo stesso tempo è in una complessa e ben organizzata forma circolare. Come ha detto Strauß, non è da escludere un intento teologico nella composizione. L'orchestra se l'è cavata, il repertorio non era affatto facile. Il primo violino mi ha dato l'impressione di un carro armato, ma l'importante è il risultato. Le soliste sono state tutte brave. Nell'ultima traspariva la tensione ma effettivamente il brano era tecnicamente non facile. La sincronizzazione immagini-musica non era perfetta, in particolare i musicisti comparivano sullo schermo sempre un pizzico in ritardo rispetto a quanto suonato. Non avendo visto altre telecamere tranne una girevole posta di lato, credo che le riprese non fossero in diretta. Doppia fatica, quindi, coordinare il tutto a tempo.

Questo concerto fa parte di una serie di eventi dell'università in cui altri concerti con musica contemporanea e di provenienza "nordica" si alternano a mostre e proiezioni dell'istituto di cinema. In questo caso sono venuta a conoscenza dell'iniziativa grazie alla violinista di cui ho raccontato in precedenza, che qui suonava nell'orchestra d'archi, ma credo di mettere in programma altri concerti del festival. Come detto, una cosa simile è più unica che rara in una città musicale ma un tantino fossilizzata nell'accademismo come Vienna.