Giro di pagina

Da tempo programmavo di scrivere questo post, nato da una chiacchierata con un amico. Il titolo non è una metafora per indicare un cambio radicale nella mia vita, bensì proprio all'azione fisica di girare pagina in uno spartito mentre si sta suonando. Nelle varie edizioni musicali sul mercato è raro trovare un'attenta disposizione delle battute in modo da non essere costretti ad interrompere la musica o a ricorrere ad un girapagine, col quale deve instaurarsi un certo rapporto di fiducia per non causare danni (questo fatto ha pure ispirato un film).

Gli strumenti monodici (fiati) o che comunque leggono su un solo rigo (archi) si pongono raramente il problema, perché le partiture sono notevolmente ridotte in lunghezza per cui un intero movimento di sonata riesce a stare su una facciata, massimo due. Il problema sembrerebbe non toccare i pianisti (ed i pochi organisti), che in genere eseguono il repertorio a memoria. In realtà in fase di studio la questione riguarda anche loro, come anche nelle occasioni in cui accompagnano altri strumenti. Per l'organo, poi, talvolta è indispensabile un registrante, che non solo si occupi delle pagine ma anche dei cambi di registri.

Dai tempi degli studi pianistici ho un buon ricordo della Henle, che oltre a fornire urtext lasciava delle facciate bianche per ridurre i giri di pagina. Per quanto riguarda l'organo, invece, la migliore è la Bärenreiter. Nessuna delle altre case editrici che mi sono passate tra le mani (Peters, Breitkopf, Dover, Durand, Leduc, Carrara, etc.), talvolta più costose della suddetta, ha mai avuto la stessa attenzione. Ammetto di avere praticamente l'opera omnia per organo di J.S. Bach in edizione Bärenreiter e l'unico volume ove il giro di pagina non cade in passaggi con una sola mano (permettendo all'altra di girare la pagina), di solo pedale, in prossimità di cadenze o alla fine di un movimento, è il volume sui concerti di altri autori adattati all'organo, ove qualsiasi esecuzione risulta rischiosa senza girapagine o senza aver imparato il brano a memoria.

Finché uno studia può anche interrompersi un momento per cambiare pagina, ma in esecuzione non a mente, come accade solitamente in chiesa durante cerimonie varie, non si può pretendere di avere un assistente, dimezzando le scarse e rare entrate, e quindi ci si deve arrangiare con fotocopie attaccate con  il nastro adesivo e trovate simili. Cari editori musicali, visto che in molti casi consultate un musicista per la diteggiatura, vi costerebbe tanto chiedergli lumi anche su questo aspetto?

Il meteo e la musica


Eos è una rivista gratuita (per i membri dell’AGU, American Geophysical Union) che aggiorna settimanalmente sui risultati delle ricerche in geofisica, climatologia e scienze planetarie, sui convegni a riguardo e sulle opportunità di lavoro nelle università di tutto il mondo (prevalentemente USA). Interessante, ma cosa c’entra con la musica? Solitamente nulla, ma nel numero del 4 Settembre, nella rubrica GeoFizz (come a dire, bollicine geologiche?) è comparso un articolo con un titolo che potremmo tradurre con “Quale meteo influenza la musica”. L'autrice fa qui un sunto ed un aggiornamento di un lavoro precedente, in cui stima statisticamente quali condizioni meteorologiche sono più frequentemente fonte d’ispirazione nella musica orchestrale occidentale.

Lo studio è stato affrontato in modo scientifico, selezionando brani che contengono riferimenti a situazioni meteorologiche (pioggia, vento, temporale, brezza, etc.) o astronomiche (aurora, tramonto, etc.) nel titolo o in partitura o nelle note apposte da editori e revisori. Manco a dirlo, i vincitori sono Vento (non solo negativo) e Tempesta. Da musicista mi ha fatto sorridere la constatazione che in genere le composizioni che descrivono temporali e simili sono in modo minore mentre quelle su situazioni piacevoli sono in maggiore. Che sorpresa!!! Credo sia una della prime regole che insegnino a composizione: triste=minore, allegro=maggiore, regola che vanta anche numerose eccezioni. Nell'articolo originale menzionano anche gli strumenti usati per riprodurre tali condizioni meteorologiche. A parte la scontata macchina del vento o la lastra del tuono, troverei interessante vedere sullo spartito come sono stati invece usati gli strumenti tradizionali (ad esempio il pizzicato per la pioggia leggera), ma non sarebbe una cosa comprensibile alla maggior parte del pubblico scientifico. Viene citato anche un registro dell’organo con effetto tempesta, che sinceramente non ricordo di aver mai incontrato, a meno che non si faccia riferimento ad alcuni organi italiani dell’Ottocento che avevano strane combinazioni a percussioni chiamate “timballone” etc. A quanto ne so servivano per riprodurre il rullato di cassa finale nelle opere, non per temporali e varie, che in chiesa non avrebbero avuto molto senso. Mah! Tornando all'articolo, i due scienziati, una fisica ed un meteorologo, suggeriscono di continuare studi simili per verificare le eventuali correlazioni tra composizioni e variazioni climatiche.

la neues Gewandhaus a Lipsia
Mi sembra una ricerca curiosa ed interessante, forse più per i musicologi che mancano dell'approccio scientifico talvolta, che non per la comunità dei paleoclimatologi (per tacere di geologi, geofisici o impattologi cui non fregherà assolutamente, tranne nel caso siano pure musicisti). Sinceramente credo, però, che il lavoro in questione possa essere stato alterato da due fattori.
  1. Si considera anche la provenienza geografica dei compositori, prevalentemente nordici (tedeschi ed inglesi la fanno da padroni). Come hanno discusso nell'articolo, ciò ha aumentato la probabilità di descrivere cattive condizioni meteorologiche, ma non è l'unico fattore discriminante. L'aver considerato esclusivamente musica orchestrale ha praticamente escluso di fatto una buona fetta di compositori al di sotto delle Alpi che con questo genere non hanno avuto molto a che fare, soprattutto nell'Ottocento, quando il poema sinfonico descrittivo ha raggiunto l'apice del successo.
  2. Il numero di composizione considerate è molto limitate, ne sono sicuramente state scartate molte, senza contare le numerose rappresentazioni di temporali o simili durante le opere liriche, ignorate, benché strumentali, perché inserite in un contesto non prettamente sinfonico. Bisogna ammettere che in tal caso, però, il risultato non sarebbe cambiato di molto, ma avrebbe avuto solamente una statistica più forte. Quante tragedie italiane in musica hanno il culmine in una notte “buia e tempestosa”? Vedi per esempio Rigoletto, l'inizio del Macbeth, etc.

Ecco i riferimenti bibliografici dei due lavori considerati:
Aplin K.L. 2012. Whether weather affects music. Eos 93 (36): 347-348.
Aplin K.L. and Williams P.D. 2011. Meteorological phenomena in Western classical orchestral music. Weather 66(11):300-306.
Se interessati ad avere gli articoli originali (in inglese) in formato pdf, che temo siano accessibili solamente tramite abbonamento di qualche istituto universitario, mandatemi un messaggio privato. Riflettendoci a posteriori forse questo post sarebbe stato più opportuno su geomusik visto l'argomento, ma ormai parlo di musica quasi esclusivamente qui, quindi è qui che deve stare.

Porte aperte al Musikverein

Ieri, domenica, si è svolto il "Tag der offenen Tür" al celebre Musikverein di Vienna. In pratica, tutte le sale ospitavano eventi per grandi e piccini, gratuitamente ma a numero chiuso, dalle 14 alle 17:30.

Il programma sarebbe lungo, perciò riassumo quello cui ho potuto partecipare: per celebrare i 200 anni della Società degli Amici della Musica un gruppo di ottoni ha eseguito una composizione apposita sui gradini dell'ingresso, nella Grosser Saal (quella del concerto di capodanno) il nuovo organo è stato illustrato dall'organista Istvan Matyas, che poi ha dato una eloquente dimostrazione delle capacità sonore con una trascrizione della Danza Macabra di Saint-Saëns e la (solita) Toccata dalla V Sinfonia di Widor (a tempo di record, adatto all'acustica della sala, bravo!), a seguire un masterclass di canto per dilettanti tenuto dalla brava e simpatica Barbara Bonney, un piacevole intermezzo è stato il Trio in sol maggiore Hob XV: 25 di Haydn con il grande Buchbinder al piano ad accompagnare due giovanissimi talenti al violino ed al violoncello, nella Brahms-saal Christian Zmek e Michael Fischer hanno intrattenuto i bambini con uno divertente spettacolo di danza (tip-tap e non solo) cui è seguito un coinvolgente show di Carole Alston con una serie di noti gospel. Il mercatino dell'usato conteneva preziose collezioni di spartiti usati ma non proprio economici, oltre a ritratti di perfetti sconosciuti, mobilio biedermeier e vari oggetti inutili. Molte iniziative interessanti, come esposizione di strumenti antichi ed altre esibizioni musicali, erano nelle nuovissime piccole sale ricavate nei piani interrati (Metallanern, Gläserner, Steinerner e Hölzerner Saal), che purtroppo non sono riuscita a raggiungere causa sovraffollamento.

Nonostante la bellissima giornata di sole, probabilmente una delle ultime estive concesse alla città, l'iniziativa ha avuto grande seguito. Forse nemmeno gli organizzatori si aspettavano tanto interesse, vista la difficoltà di accesso alle stanze più piccole tramite un'unica scala. L'idea di aprire le porte di un'istituzione simile è già di per sé apprezzabile, l'aver poi organizzato esibizioni ed attività per avvicinare bambini e dilettanti alla musica è stato stupendo! Anche chi con la musica vive quotidianamente non ha avuto modo di annoiarsi. Speriamo non sia stata un'occasione isolata e che pure altri luoghi sacri della musica, come la Staatsoper, prendano l'abitudine di aprire le porte a tutti una volta l'anno, per far godere della buona musica che dentro vi si esegue.

OperaVox: ovvero bambini per una sera

Per puro caso ieri sera mi sono travata ad assistere con due amiche ad una proiezione particolare al FilmFestival: OperaVox. Si tratta di una serie televisiva di qualche decennio fa che arrangiava celebri opere liriche per un pubblico di bambini. Tramite cartoni animati o marionette, i personaggi delle opere semplificate e ridotte si trovano a cantare esclusivamente alcune famose arie mentre la narrazione degli eventi è affidata a scarni dialoghi in inglese. Ecco, questo è il vero "problema" di un'iniziativa altamente culturale, l'aver tradotto opere italiane, tedesche e francesi in inglese, con forte accento britannico!
Le opere di ieri sera erano: Il Flauto Magico (che in realtà non è un"opera" in senso stretto ma bensì uno singspiel, in cui parti vengono recitate), Il Barbiere di Siviglia e Carmen. Il lavoro di Mozart era reso con animazioni molto stilizzate e che sottolineavano il carattere massonico e magico della vicenda. Nel Barbiere una ricostruzione teatrale con marionette molto ben fatte giocava sugli aspetti comici della storia. Carmen era in uno stile più moderno, legato sia alla tragedia sia al tema più adulto. Complice anche una serata tiepida e serena, dopo un week end di pioggia e prima di altri giorni di temporali, la platea era piena, non c'era un posto per sedersi! La gente ha mostrato di gradire lo spettacolo, nonostante sia datato e nonostante fosse più per bambini che per acculturati adulti austriaci. Un bell'approccio all'opera anche per coloro i quali non sono abituati a sorbirsi due ore (minimo) d'incomprensibile canto impostato in una lingua spesso sconosciuta e con cantanti-divi a volte non all'altezza del ruolo o con regie astruse che invece di aiutare la comprensione fanno pentire di aver speso i soldi per il biglietto.

un circo per la poesia della rivoluzione

Finalmente sono riuscita a vedere l'Andrea Chenier, opera di Umberto Giordano, per di più nel discusso allestimento del Festspiele di Bregenz. Ovviamente sempre grazie al FilmFestival al Rathaus di Vienna.

Non conoscevo quest'opera se non per sentito dire e sempre con toni entusiastici, eppure non sono tornata a casa con il rammarico degli anni persi. Come precedentemente detto, l'amplificazione di quest'anno rende la voce un po' falsa e quindi il coinvolgimento emotivo è più faticoso. Devo anche premettere che non conoscendo la musica non si è innescato quel meccanismo di "familiarità" che rende piacevole il riascolto di qualcosa noto. Il linguaggio musicale è anche piuttosto avanzato (sì, lo so, è un'esagerazione per l'epoca, ma abbiate pazienza, rispetto a Verdi). Un'altra nota dolente è stata la non sottotitolazione dell'opera. Solitamente c'è e pur se in tedesco fornisce un aiuto alla comprensione di un italiano arcaico, reso ancor più ostico dal canto, specialmente quando non si conosce o non si ha il  libretto. 

La cosa che colpisce maggiormente di questo allestimento è sicuramente l'impianto scenico, cui s'è accompagnata una regia a dir poco eccentrica. L'idea di Marat immerso nella vasca che in realtà era il lago di Costanza (Bodensee in tedesco) è geniale, ma il gusto dei costumi da gay-pride, i tuffi acrobatici ed i balletti sospesi, scene di violenza rappresentate troppo realisticamente, gli interventi di chitarra elettrica (immagino non previsti in partitura dal povero Giordano), etc. mi sono sembrati un po' eccessivi. Soprattutto se ciò non contribuisce al coinvolgimento del pubblico nella storia, semmai a distrarlo con uno spettacolo quasi circense. Sarò all'antica, me preferisco gli allestimenti "realistici", anche se trasposti in epoche diverse o reinterpretati. Qui le carte in tavola c'erano tutte: l'evoluzione del personaggio femminile, la poesia come arte che salvifica, i lati oscuri della rivoluzione, l'ipocrisia, il sacrificio... In conclusione, grande spettacolo per gli occhi ma non per cuore ed orecchi.


Tragedia romana

L'altro ieri sera è iniziato il Film Festival nella Rathausplatz a Vienna, quest'anno con uno schermo di dimensioni maggiori (300 mq, impressionante!), un sistema audio potenziato (anche troppo, risulta falso) ed un programma che almeno una volta alla settimana include un concerto pop ed uno nazional-popolare (leggi, opera italiana famosa). Ieri sera davano Tosca, nel seguente allestimento (disponibile qui, grazie alla BBC), che ha trovato i favori della critica: Royal Opera Chorus e Orchestra of the Royal Opera House diretti da Antonio Pappano, per la regia di Jonathan Kent, con Angela Gheorghiu (Tosca), Jonas Kaufmann (Cavaradossi), Bryn Terfel (Scarpia).

Seconda Tosca che sento a Vienna e seconda volta con Kaufmann nel ruolo del pittore. Questo allestimento nelle intenzioni vorrebbe confrontarsi con l'inarrivabile storica versione di Zeffirelli per lo stesso teatro, con la Callas (Tosca) e Gobbi (Scarpia). Scenograficamente tradizionale, interpretazione degli attori magistrale, ma non mi ha convinto del tutto musicalmente. Sicuramente a causa del volume elevato, del bilanciamento in post-produzione e della proiezione all'aperto, perché i cantanti di tutto rispetto hanno comunque mostrato notevoli abilità interpretative, sia per la recitazione (Tosca era molto diva, Cavaradossi innamorato e Scarpia subdolo e cinico) sia dal punto di vista vocale.


Tosca resta una delle mie opere preferite, per quel misto di storia e romanticismo, per la tragedia (muoiono tutti, che lo sappiate subito) di primo ottocento resa ancora più drammatica dalle ambientazioni barocche (solo in teatro, in realtà Palazzo Farnese è rinascimentale e Castel Sant'Angelo medievale, solo la chiesa di Sant'Andrea si può considerare barocca) e dall'atmosfera cupa del decadentismo. La storia è semplice, come la riassunse Shaw "il tenore ama il soprano ma il baritono non vuole", eppure qui ci sono tanti sentimenti rappresentati: la volubilità della diva, la gelosia, il patriottismo, l'invidia, l'eroismo. Come non immedesimarsi in Tosca quando non regge alle torture sul suo amato e confessa, condannando se stessa, lui e l'Angelotti a morte, e quando si domanda del perché sia chiamata a tanto dolore? Come non piangere quando il Cavaradossi, cosciente dell'imminente esecuzione, si abbandona in un disperato e carnale appello alla vita?

P.S. In quegli stessi attimi la nazionale di calcio perdeva clamorosamente contro la nazionale spagnola. Se milioni di Italiani hanno pianto davanti alla tv vedendo undici ragazzi disfatti dalla fatica e sopraffatti dalle "furie rosse", concedetemi di essermi commossa alla rappresentazione canora di un dramma d'amore e politica, pur conoscendo il finale sin dal primo accordo, ambientato a Roma, messo in scena in Inghilterra, con una cantante rumena, un tedesco ed un gallese. Magia dell'opera!

Lange Nacht der Kirchen 2012


Anche quest'anno si è svolta la Lunga notte delle Chiese ed ha avuto l'abituale imbarazzo della scelta tra le innumerevoli iniziative e concerti, con la compagnia eccezionale di amici italiani e non, che hanno dimostrato una notevole resistenza nonostante i miei giri estenuanti ed i concerti non proprio leggeri. Il programma prescelto è variato in corso, alcune chiese sono saltate per motivi di tempo ma ci sono state delle piacevoli ed inaspettate nuove esperienze. Alla fine gli eventi cui abbiamo preso parte sono stati:


Una serie d'impressioni. Tanto di cappello all'organista dell'Augustiner, Johannes Ebenbauer, che oltre ad illustrare gli strumenti ha regalato un po' di letteratura ad hoc. Il coro giovanile, ORG Wiener Sängerknaben, non era un coro di voci bianche come mi aspettavo, ma di adolescenti che cantavano seriamente e piuttosto bene musica sacra dal XVI al XXI secolo, ma mi è mancata la dinamica di un coro adulto e la freschezza di un coro di bambini. Una menzione merita la violinista nella Ruprechtskirche, di cui ho dimenticato il nome (sic!) e che si è cimentata con un programma barocco inedito tutt'altro che facile, mostrando grande abilità tecnica ed una buona interpretazione. 
Non sono appassionata di musica ortodossa ma ho sentito quattro voci davvero notevoli e dall'orecchio infallibile, sicuramente una liturgia con la loro partecipazione sarebbe particolarmente suggestiva ed evocativa. L'organo della Jesuitenkirche è uno dei migliori a Vienna a mio parere, ma in questa occasione l'organista,  Michael Gailit, non ha scelto il repertorio che l'avrebbe valorizzato a dovere, volutamente evitando i romantici francesi e pure i tedeschi, sempre secondo me. Il poco che ho sentito nella Salvatorianer avrebbe meritato un più lungo ascolto, per gli esecutori del Collegium Musicum del Conservatorio Prayner su strumenti d'epoca. Anche lo “Stabat Mater” era con strumenti d'epoca ma le due cantanti non mi hanno convinto, specialmente il contralto, con poca attenzione al testo e voce non ben controllata. È almeno la seconda volta che ascolto questo commovente brano qui a Vienna ed anche stavolta sono rimasta delusa dall'interpretazione. ZuzanaFerjencikova a Schottenstift è stata una conferma, davvero bravissima, non solo tecnicamente, nel rendere visibili i quadri descritti dalla musica. Il Finale nella Cattedrale è stato sublime, merito dell'ottimo pianista Matthias Fletzberger. L'ambientazione, complice la rinnovata illuminazione colorata, e la musica di Bach, articolata, cerebrale, ma allo stesso tempo consolante e piacevole anche per i non musicisti, hanno fatto il resto.