I sabati dell'organo

In un freddo e grigio sabato di primavera a Bruxelles, sono andata a sentire un concerto degli studenti di organo del conservatorio locale (credo quello francese, qui tutto è diviso), organizzato e curato dal M. Bernard Foccroulle, presso la chiesa Notre-Dame aux Riches Claires. Il programma prevedeva compositori barocchi italiani e spagnoli, equamente spartiti in una prima parte interamente dedicata a Girolamo Frescobaldi ed una seconda con Francisco Correa de Arauxo, il meno noto Pablo Bruna (una piacevole scoperta) e Juan Bautista Cabanilles. Sono stati tre i ragazzi che si sono alternati all'organo, mentre il loro insegnate ha estesamente introdotto i brani ed i compositori, con spiegazioni tecniche che non mi aspettavo ad un concerto.

L'organo è uno strumento nuovo, del 2011, di fabbricazione locale, ma non sono riuscita a reperire maggiori informazioni. Quando si parla di musica antica ci si pone sempre il quesito su quale sia il modo "corretto" di eseguirla. Ho notato ed apprezzato un'esecuzione molto curata, fresca ed ispirata, non sminuita come si sente talvolta nei nostri conservatori (il repertorio è previsto in Italia per gli anni VI-VIII di organo nel vecchio ordinamento). L'unico neo, se possibile, era lo strumento, che sinceramente penso più consono all'esecuzione della musica barocca tedesca o eventualmente francese, piuttosto che italiana e spagnola. L'uso del Flauto 8' in certe variazioni come anche il tremolo per sostituire la Voce Umana (registro battente sul Principale, se non ricordo male un tempo limitata ai Soprani, es. qui anche se strumento di epoca successiva) in Frescobaldi ha solamente confuso la polifonia. Al contrario, il Flauto 4', il Principale ed i cambi di registri e manuali tra le diverse sezioni risultavano molto piacevoli all'ascolto. Stesso problema nei Tiento, con il Cromorno  al posto delle ance spagnole che stonava, oltre ad una certa standardizzazione dell'esecuzione (anche se fosse così scritto, non credo che tutti i brani debbano iniziare con il mordente risolto allo stesso modo ed esattamente con gli stessi registri). Comprendo che uno si debba arrangiare con lo strumento che ha a disposizione, anche se in questo caso preferirei la fantasia di sostituzioni azzardate ma che rendano la freschezza della musica in funzione di strumento ed ambiente piuttosto che l'uso di registri o combinazioni di ripiego pur di seguire una scuola di pensiero. Temo, però, che questo sia ciò che insegnino nei conservatori; principio giusto in sé per scopi educativi, ma che potrebbe essere coscientemente infranto per un concerto aperto al pubblico (una quarantina di persone).

Dimmi che lingua parli e ti dirò che musica fai (in chiesa)

Il lungo silenzio è terminato. Geomusik è tornato, ma ha cambiato sede. L'autrice, ossia la sottoscritta, per lavoro si è trasferita dalla capitale della musica, l'imperiale Vienna, alla caotica e multiculturale Bruxelles, tutta da scoprire per me perché non vi ero mai stata nemmeno come turista. Quindi, per un po' cercherò di raccontare la vita musicale di questa città, che scoprirete con me, oltre all'usuale appuntamento con le varie produzioni cinematografiche e televisive riguardanti la musica classica, ora non solo in italiano, inglese o tedesco, ma anche in francese o olandese.

Due settimane soltanto sono già bastate per farmi un'idea del rapporto liturgia-musica a Bruxelles. Doverosa premessa: il Belgio è ampiamente cattolico, o meglio, ci sono anche qui parecchi atei ma stragrande maggioranza delle chiese è di confessione cattolica romana.

Esperienza fiamminga. La prima domenica in Belgio mi trovavo a Grimbergen, paesino al nord di Bruxelles, nelle Fiandre, famoso per la birra e per una basilica minore dotata anche di un carillon di 49 campane. La messa è stata accompagnata dal canto spedito di una schola gregoriana di monaci che si è sbizzarrita tra proprium e ordinarium e da un superbo organo (ma non altrettanto organista, che ha scelto un repertorio alla Couperin per i brani da solista ed accompagnamenti minimi per il gregoriano). La schola era veramente notevole, non solo per i tempi scorrevoli, inimmaginabili da noi, ma anche per la pronuncia “liturgica”, ossia più simile alla nostra che a quella travisata tedesca. La partecipazione dei fedeli era garantita da foglietti che riportavano sia la liturgia odierna sia le melodie su tetragramma.

Esperienza francofona. Ieri, invece, sono andata nella bellissima chiesa di Nostra Signora (Notre Dame) del Sablon, dotata di due organi, uno storico in cantoria, ed uno nuovissimo, corale, a metà navata, su cui Lorenzo Ghielmi terrà un breve masterclass tra una decina di giorni. Il gregoriano qui viene cantato solamente la prima domenica del mese, ma l'accompagnamento alla liturgia è comunque garantito da uno dei tre organisti titolari ed una voce guida. Le musiche di ieri comprendevano un'improvvisazione in stile antico all'inizio ed una moderna dopo la predica, il corale BWV 639 (Ich ruf zu dir) all'offertorio, un'aria di Bach (cantata BWV 85) alla comunione ed una di Purcell alla fine cantate da una brava mezzosoprano, oltre all'ordinario della messa. Anche in questo caso dei foglietti permettevano ai non francofoni di seguire la messa e di partecipare al canto. La stessa chiesa ospita le prove di un coro da camera semi-professionale, che include elementi del locale conservatorio e che nelle grandi occasioni accompagna anche la messa.

Esperienza italiana. Sapendo che sono organista, un'amica belga mi ha messo in contatto con un ragazzo italiano che accompagna un coro che canta alla messa domenicale in lingua italiana in una parrocchia non lontano da dove abito. Nonostante la calorosa accoglienza, non ho preso in considerazione l'idea di farvi parte perché il repertorio del coro si basa su.. Gen Rosso, Verde, Frisina, etc. Senza voler nulla togliere allo spirito scoutistico di queste melodie, permettetemi di rammaricarmi per la differenza di considerazione della liturgia tra i locali e noi italici. Francofoni e fiamminghi sono orgogliosi delle proprie differenze, ma entrambi sembrano avere in grande onore la musica d'arte. Un organista, anche da solo, può facilmente rendere una messa un momento di riflessione e di cultura allo stesso tempo. Perché noi abbiamo bisogno delle chitarre e di queste melodie che ispirano tutt'altro che sacre riflessioni? Perché dovunque andiamo ci portiamo dietro questa recente involuzione musicale invece di acquisire almeno le tradizioni locali?

Quartet: casa Verdi in UK

Stasera sono andata a vedere un film inusuale, un'opera prima, che merita un posto in questo blog perché ha a che fare con la musica. Il film è intitolato "Quartet" ed è diretto da Dustin Hoffman. Ha una trama molto semplice ed oserei dire leggera (una grande ex-cantante è costretta a trasferirsi in una casa di riposo per musicisti e qui re-incontra il suo ex-marito), ma il cast di tutto rispetto (tra cui una superba Maggie Smith), la delicatezza della regia nel trattare l'anzianità e le fulminanti battute britanniche rendono il film davvero godibile.

La musica, di repertorio (Verdi, Boccherini, Bach-Busoni, Haydn, etc.) ma anche abilmente "manipolata" dall'italianissimo Dario Marianelli, aveva una ruolo non indifferente nel film. La sorpresa è stata scoprire al termine che gli interpreti della maggior parte dei brani erano gli attori stessi della pellicola, veri ex-artisti e solo prestati al cinema. Ovviamente tranne i quattro protagonisti del quartetto vocale del titolo (dal Rigoletto, in un'edizione con Pavarotti e la Sutherland) che sono, invece, navigati attori professionisti, ma presumibilmente non musicisti per cui non vengono mai ripresi a scimmiottare le movenze di un cantante.

Da segnalare le scene in cui l'opera viene descritta e paragonata al rap in un improbabile seminario per ragazzini. L'unico neo, se proprio bisogna trovarne, è stato aver scelto un'opera lirica che non ha alcuna relazione con la vicenda dei protagonisti. Nel complesso, credo sia un modo piacevole per trascorrere una serata, rivalutando l'esperienza e l'entusiasmo degli anziani senza ipocrisie o depressioni e recuperando brani  musicali celebri in arrangiamenti nuovi. E per chi non sapesse cosa sia Casa Verdi, in qualche modo l'ispirazione per questo film, ecco il link.

L'allegra compagnia


Approfittando del mio ritorno a casa per le festività natalizie, mi sono concessa un concerto locale, come ai vecchi tempi. Niente di paragonabile alle scintillanti serate alla Staatsoper o al Musikverein di Vienna, ma piuttosto un'allegra serata in una parrocchia di campagna con sei storici interpreti che si sono dilettati a suonare in compagnia.

Il concerto si è svolto domenica 23 dicembre nella chiesa di Pernumia (PD), con il gruppo "Il Sestetto", che comprende Piero Toso e Guido Furini ai violini, Ivan Malaspina alla viola, Gianni Chiampan al violoncello, Chiara De Zuani al clavicembalo e Francesco Finotti all'organo. Il programma: Andante in Fa maggiore di W. A. Mozart, concerti per organo ed orchestra dall'op. 4 n. 1 in sol minore e n. 4 in fa maggiore di G. F. Händel ed il celeberrimo concerto grosso per la notte di Natale di A. Corelli. Alcuni di questi maestri (Toso, Furini e Chiampan) sono volti noti, non solo per la loro carriera musicale (per esempio con i Solisti Veneti) ma soprattutto perché insegnanti ormai in pensione del Conservatorio Pollini.

Qualche imprecisione nell'intonazione negli archi ed un po' di stanchezza si sono fatte sentire, ma nel complesso ho gradito la serata, con un'interpretazione allegra e tradizionale (nel senso di qualche decennio fa, un po' romantica) di brani triti e ritriti del repertorio barocco. Il M.o Finotti all'organo è comunque una certezza ed anche questa volta, nonostante un positivo ed un brano che non amo, è riuscito a non deludere, riproducendo un'orchestra intera e facendo apprezzare la fine arte compositiva dell'apparentemente superficiale Mozart.  Ho apprezzato molto anche Chiara De Zuani, davvero una raffinata clavicembalista, mi sarebbe piaciuto ascoltarla pure in un brano solistico! L'atmosfera casalinga e quasi goliardesca tra gli interpreti mi ha fatto pensare di assistere ad una prova generale, cosa che non si allontanava troppo dalla realtà visto il poco pubblico (difficile attirare gente di campagna in un pomeriggio di nebbia all'ultima domenica prima di Natale, con tutti i centri commerciali aperti)  e visto che il concerto veniva ripetuto il 26 nella più prestigiosa cornice di San Lorenzo ad Abano T. (PD). Per questo ho gradito ancora di più la serata, cui hanno partecipato anche i miei genitori, in una piacevole riunione musicale.

Il piacere di fare musica assieme è talvolta più per chi la esegue di chi la ascolta. L'ultimo dell'anno mi sono divertita come non mai leggendo (malamente, sono decisamente fuori esercizio) con altri tre amici brani piuttosto celebri e giocando con le tonalità e l'ordine delle note. Non posso certo paragonare i nostri strimpellamenti al concerto professionale del Sestetto, ma il piacere e l'allegria che si leggevano nei volti degli interpreti erano gli stessi di noi giovani ubriachi (di stanchezza e di cibo, non di alcool).

Unico vero neo della serata è stato il parroco che ha mostrato di non aver e il benché minimo interesse per la musica, quasi costretto a dover sopportare nei suoi spazi la presenza di vecchie e nuove glorie del panorama musicale veneto. È difficile ed inopportuno giudicare senza conoscere i retroscena, ma purtroppo l'impressione negativa si è rafforzata nella partecipazione alla santa messa dopo il concerto. Allora sì, ho rimpianto Vienna.

Il perché non so

Perché Bohème mi commuove sempre? Sarà per l'ingenuità dell'amore di Mimì, sarà per l'arguzia delle battute tra Marcello e Musetta (come tra Bendetto e Beatrice in Molto rumore per nulla), sarà per l'immedesimazione negli artisti in cerca di un'occupazione (sono una scienziata, ma la sostanza non cambia). Tanto per cambiare, ieri sera ero alla Staatsoper proprio per vedere Bohème assieme a due amiche. È stata la prima volta in cui ho assistito a quest'opera dal vivo, mi ero rifiutata di vederla all'Arena perché, secondo me, adatta solo ad un teatro: negli spazi aperti si perde l'intimità delle emozioni.

Ecco la scaletta.
Direttore: Franz Welser-Möst

Rodolfo: Piotr Beczala
Marcello: Adrian Eröd
Schaunard: Alessio Arduini

Anche in questo caso l'allestimento era datato, ma egualmente affascinante. Zeffirelli ha un gusto particolare nel riportare le opere negli spazi originali, cercando di seguire le indicazioni del compositore piuttosto che mostrare al pubblico la propria interpretazione o voler essere originale a tutti i costi. I costumi erano pure pregevoli, per questo ho citato il compianto costumista. Talmente persa nella musica e nella vicenda, non posso dire molto su direzione e cantanti. L'opera è fluita tranquillamente, quasi mi hanno disturbato gli intervalli e gli applausi che hanno brevemente spezzato la magia del teatro. Mimì era perfetta nel ruolo, Rodolfo vocalmente non era al suo pari, situazione invertita per la coppia Marcello e Musetta, ove Marcello ha decisamente brillato. Schaunard e Colline senza infamia né gloria, ma la celebre romanza "Vecchia Zimarra" di Colline è stata commovente. Giacosa e Illica hanno fatto un lavoro mirabile con il libretto, che merita una letta. Non per nulla gli stessi autori hanno contribuito al successo di Tosca e Madama Butterfly.

Una nota finale, valida per tutte le opere liriche. L'attenzione e gli applausi (o fischi, ma a Vienna sembrano sconosciuti) del pubblico sono sempre e solo per i cantanti, che mettono la faccia oltre alla voce, ma in pochi riconoscono il lavoro ed il valore del direttore d'orchestra. I cantanti alla fine sono, alla pari degli strumentisti, l'espressione dell'idea del direttore, pur se meno malleabili di un violinista a causa della loro forte personalità (o mania di protagonismo?), e sono dei meri burattini mossi dalle indicazioni del regista. È innegabile che taluni abbiano tale talento interpretativo (musicale e di teatro) da farli emergere, però mi piacerebbe almeno una volta in un teatro sentire il pubblico accogliere con un'ovazione anche il direttore e l'orchestra intera!

Una furtiva lacrima

Una tedesca, una slovacca, una portoghese ed un'italiana si trovano a teatro. Non è l'inizio di una barzelletta, bensì quanto accaduto ieri sera. Una furtiva lacrima ha bagnato anche le mie ciglia, non per invidia delle festose giovani, ma per nostalgia. L'entusiasmo del pubblico per un momento mi ha portato all'illusione di un grande teatro italiano, la Fenice o la Scala, almeno un secolo e mezzo fa.

da qui
La scaletta: 
opera in 2 atti di Gaetano Donizetti
direttore 
regia basata su 
Adina 
Nemorino 
Belcore 
Dulcamara 
Giannetta 

La rappresentazione era coerente con il tempo della vicenda, con i costumi tradizionali, la scenografia da presepe e delle capatine nella commedia dell'arte per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi. Nel complesso deliziosa! La fresca direzione musicale era molto leziosa, auto-compiacendosi delle belle melodie e sorvolando velocemente sui recitativi narrativi. Flórez notevole, dal bel timbro chiaro e dalla pronuncia sorprendentemente intellegibile. Gli applausi dopo l'esecuzione della romanza "Una furtiva lacrima" sono stati così insistenti che ne ha concesso un bis. Nonostante l'aria in se non sia stata così eccezionale e nonostante non ami l'interruzione della vicenza per simili divagazioni, proprio quella ripetizioni mi ha trasportato all'atmosfera dei teatri ottocenteschi. Penso che sentiremo ancora parlare di questo ragazzo! 

La Schwartz, invece, non ha brillato per nulla, nella recitazione se l'è cavata egregiamente, ma per il resto non si è distinta se non per incomprensibilità del testo, acuti gridati e vibrato pesante nel registro grave. Molnár bravo, meglio nel II atto che nel primo, idem Plachetka. La Rathkolb ha mostrato di avere voce e personalità, forse il controllo sarebbe ancora da affinare, ma a mio parere ha l'età, l'esperienza e soprattutto le capacità per un ruolo da protagonista, chissà perché è sempre relegata a parti minori?!?!

La serata è stata davvero gradevole. Il teatro era pieno e nessuno se n'è andato a metà spettacolo come accaduto altre volte. Il cartellone è denso di altre opere che m'interessano, basta convincere la compagnia a non perdere una simile occasione.



metti una sera in loggione

Ieri sera mi sono concessa la Traviata alla Staatsoper assieme ad alcuni amici musicisti italiani che non vedevo da mesi, nonostante la comune temporanea emigrazione a Vienna. La locandina: Violetta Valery Ermonela Jaho, Alfredo Germont Francesco Demuro, Germont padre Giovanni Meoni, Direttore Bertrand de Billy e Regia di Jean-Francois Sivadier.

Bacchetta magnifica! Davvero una direzione notevole, curata nei dettagli, con un sapiente uso del rubato ma senza concedere troppo ai cantanti. Solo al momento di scrivere questo post mi sono resa conto che i due Germont erano italiani, in ogni caso mi avevano entrambi piacevolmente colpito. Non solo per la chiara pronuncia italiana (non scontata, nonostante la nazionalità), ma soprattutto per la resa musicale e per come sono entrati nei rispettivi personaggi. In questi condizioni un piccolo cedimento dell'intonazione su un tenuto si perdona. Al contrario non mi ha convinto il soprano. Tecnicamente brava ma senza cura alcuna per la pronuncia, piuttosto schematica nelle dinamiche, dal timbro non bellissimo, quasi roco (forse non era al top, nelle registrazioni ha un timbro molto più limpido), però queste carenze sono state in qualche modo supplite da un'ammirabile presenza scenica, a volte da diva, ma che non stonava con il personaggio di Violetta, abituata ad essere sempre al centro dell'attenzione, soprattutto maschile. 

La regia riproponeva il recente allestimento, creato appositamente per questo teatro e con la Dessay nel ruolo della protagonista. La scena era sempre estremamente scarna, il mobilio ridotto ad un numero variabile di sedie che periodicamente venivano scagliate a terra dai cantanti per sottolineare i momenti di rabbia, pannelli colorati ed un'enorme lavagna completavano il panorama. Nonostante dai costumi si evincesse una trasposizione della vicenda in epoche più vicine, l'ammodernamento non ha in alcun modo toccato la storia. Niente a che vedere con la controversa rappresentazione in Arena di Verona di qualche anno fa.

È stata una bella serata, più da ascoltare che da vedere per la posizione piuttosto laterale in loggione, ma l'opera italiana colpisce sempre nel segno. Posti in piedi, loggione, con vertiginosa vista sulla platea e la buca dell'orchestra, attorniata da musicisti e studenti, tutto per soli 3 euro. Nonostante ritenga i teatri storici italiani infinitamente più belli (Fenice, Scala, Petruzzelli, Massimo, etc., che mi sono dovuta accontentare di vedere in tv causa difficoltà logistiche), non credo che in Italia la nostra opera sia parimenti fruibile, visto che il massimo dello sconto concesso agli studenti del conservatorio era un biglietto da 6 euro per la prova generale, in mezzo a tumultuose scolaresche per la prima volta a teatro.