Quartet: casa Verdi in UK

Stasera sono andata a vedere un film inusuale, un'opera prima, che merita un posto in questo blog perché ha a che fare con la musica. Il film è intitolato "Quartet" ed è diretto da Dustin Hoffman. Ha una trama molto semplice ed oserei dire leggera (una grande ex-cantante è costretta a trasferirsi in una casa di riposo per musicisti e qui re-incontra il suo ex-marito), ma il cast di tutto rispetto (tra cui una superba Maggie Smith), la delicatezza della regia nel trattare l'anzianità e le fulminanti battute britanniche rendono il film davvero godibile.

La musica, di repertorio (Verdi, Boccherini, Bach-Busoni, Haydn, etc.) ma anche abilmente "manipolata" dall'italianissimo Dario Marianelli, aveva una ruolo non indifferente nel film. La sorpresa è stata scoprire al termine che gli interpreti della maggior parte dei brani erano gli attori stessi della pellicola, veri ex-artisti e solo prestati al cinema. Ovviamente tranne i quattro protagonisti del quartetto vocale del titolo (dal Rigoletto, in un'edizione con Pavarotti e la Sutherland) che sono, invece, navigati attori professionisti, ma presumibilmente non musicisti per cui non vengono mai ripresi a scimmiottare le movenze di un cantante.

Da segnalare le scene in cui l'opera viene descritta e paragonata al rap in un improbabile seminario per ragazzini. L'unico neo, se proprio bisogna trovarne, è stato aver scelto un'opera lirica che non ha alcuna relazione con la vicenda dei protagonisti. Nel complesso, credo sia un modo piacevole per trascorrere una serata, rivalutando l'esperienza e l'entusiasmo degli anziani senza ipocrisie o depressioni e recuperando brani  musicali celebri in arrangiamenti nuovi. E per chi non sapesse cosa sia Casa Verdi, in qualche modo l'ispirazione per questo film, ecco il link.

L'allegra compagnia


Approfittando del mio ritorno a casa per le festività natalizie, mi sono concessa un concerto locale, come ai vecchi tempi. Niente di paragonabile alle scintillanti serate alla Staatsoper o al Musikverein di Vienna, ma piuttosto un'allegra serata in una parrocchia di campagna con sei storici interpreti che si sono dilettati a suonare in compagnia.

Il concerto si è svolto domenica 23 dicembre nella chiesa di Pernumia (PD), con il gruppo "Il Sestetto", che comprende Piero Toso e Guido Furini ai violini, Ivan Malaspina alla viola, Gianni Chiampan al violoncello, Chiara De Zuani al clavicembalo e Francesco Finotti all'organo. Il programma: Andante in Fa maggiore di W. A. Mozart, concerti per organo ed orchestra dall'op. 4 n. 1 in sol minore e n. 4 in fa maggiore di G. F. Händel ed il celeberrimo concerto grosso per la notte di Natale di A. Corelli. Alcuni di questi maestri (Toso, Furini e Chiampan) sono volti noti, non solo per la loro carriera musicale (per esempio con i Solisti Veneti) ma soprattutto perché insegnanti ormai in pensione del Conservatorio Pollini.

Qualche imprecisione nell'intonazione negli archi ed un po' di stanchezza si sono fatte sentire, ma nel complesso ho gradito la serata, con un'interpretazione allegra e tradizionale (nel senso di qualche decennio fa, un po' romantica) di brani triti e ritriti del repertorio barocco. Il M.o Finotti all'organo è comunque una certezza ed anche questa volta, nonostante un positivo ed un brano che non amo, è riuscito a non deludere, riproducendo un'orchestra intera e facendo apprezzare la fine arte compositiva dell'apparentemente superficiale Mozart.  Ho apprezzato molto anche Chiara De Zuani, davvero una raffinata clavicembalista, mi sarebbe piaciuto ascoltarla pure in un brano solistico! L'atmosfera casalinga e quasi goliardesca tra gli interpreti mi ha fatto pensare di assistere ad una prova generale, cosa che non si allontanava troppo dalla realtà visto il poco pubblico (difficile attirare gente di campagna in un pomeriggio di nebbia all'ultima domenica prima di Natale, con tutti i centri commerciali aperti)  e visto che il concerto veniva ripetuto il 26 nella più prestigiosa cornice di San Lorenzo ad Abano T. (PD). Per questo ho gradito ancora di più la serata, cui hanno partecipato anche i miei genitori, in una piacevole riunione musicale.

Il piacere di fare musica assieme è talvolta più per chi la esegue di chi la ascolta. L'ultimo dell'anno mi sono divertita come non mai leggendo (malamente, sono decisamente fuori esercizio) con altri tre amici brani piuttosto celebri e giocando con le tonalità e l'ordine delle note. Non posso certo paragonare i nostri strimpellamenti al concerto professionale del Sestetto, ma il piacere e l'allegria che si leggevano nei volti degli interpreti erano gli stessi di noi giovani ubriachi (di stanchezza e di cibo, non di alcool).

Unico vero neo della serata è stato il parroco che ha mostrato di non aver e il benché minimo interesse per la musica, quasi costretto a dover sopportare nei suoi spazi la presenza di vecchie e nuove glorie del panorama musicale veneto. È difficile ed inopportuno giudicare senza conoscere i retroscena, ma purtroppo l'impressione negativa si è rafforzata nella partecipazione alla santa messa dopo il concerto. Allora sì, ho rimpianto Vienna.

Il perché non so

Perché Bohème mi commuove sempre? Sarà per l'ingenuità dell'amore di Mimì, sarà per l'arguzia delle battute tra Marcello e Musetta (come tra Bendetto e Beatrice in Molto rumore per nulla), sarà per l'immedesimazione negli artisti in cerca di un'occupazione (sono una scienziata, ma la sostanza non cambia). Tanto per cambiare, ieri sera ero alla Staatsoper proprio per vedere Bohème assieme a due amiche. È stata la prima volta in cui ho assistito a quest'opera dal vivo, mi ero rifiutata di vederla all'Arena perché, secondo me, adatta solo ad un teatro: negli spazi aperti si perde l'intimità delle emozioni.

Ecco la scaletta.
Direttore: Franz Welser-Möst

Rodolfo: Piotr Beczala
Marcello: Adrian Eröd
Schaunard: Alessio Arduini

Anche in questo caso l'allestimento era datato, ma egualmente affascinante. Zeffirelli ha un gusto particolare nel riportare le opere negli spazi originali, cercando di seguire le indicazioni del compositore piuttosto che mostrare al pubblico la propria interpretazione o voler essere originale a tutti i costi. I costumi erano pure pregevoli, per questo ho citato il compianto costumista. Talmente persa nella musica e nella vicenda, non posso dire molto su direzione e cantanti. L'opera è fluita tranquillamente, quasi mi hanno disturbato gli intervalli e gli applausi che hanno brevemente spezzato la magia del teatro. Mimì era perfetta nel ruolo, Rodolfo vocalmente non era al suo pari, situazione invertita per la coppia Marcello e Musetta, ove Marcello ha decisamente brillato. Schaunard e Colline senza infamia né gloria, ma la celebre romanza "Vecchia Zimarra" di Colline è stata commovente. Giacosa e Illica hanno fatto un lavoro mirabile con il libretto, che merita una letta. Non per nulla gli stessi autori hanno contribuito al successo di Tosca e Madama Butterfly.

Una nota finale, valida per tutte le opere liriche. L'attenzione e gli applausi (o fischi, ma a Vienna sembrano sconosciuti) del pubblico sono sempre e solo per i cantanti, che mettono la faccia oltre alla voce, ma in pochi riconoscono il lavoro ed il valore del direttore d'orchestra. I cantanti alla fine sono, alla pari degli strumentisti, l'espressione dell'idea del direttore, pur se meno malleabili di un violinista a causa della loro forte personalità (o mania di protagonismo?), e sono dei meri burattini mossi dalle indicazioni del regista. È innegabile che taluni abbiano tale talento interpretativo (musicale e di teatro) da farli emergere, però mi piacerebbe almeno una volta in un teatro sentire il pubblico accogliere con un'ovazione anche il direttore e l'orchestra intera!

Una furtiva lacrima

Una tedesca, una slovacca, una portoghese ed un'italiana si trovano a teatro. Non è l'inizio di una barzelletta, bensì quanto accaduto ieri sera. Una furtiva lacrima ha bagnato anche le mie ciglia, non per invidia delle festose giovani, ma per nostalgia. L'entusiasmo del pubblico per un momento mi ha portato all'illusione di un grande teatro italiano, la Fenice o la Scala, almeno un secolo e mezzo fa.

da qui
La scaletta: 
opera in 2 atti di Gaetano Donizetti
direttore 
regia basata su 
Adina 
Nemorino 
Belcore 
Dulcamara 
Giannetta 

La rappresentazione era coerente con il tempo della vicenda, con i costumi tradizionali, la scenografia da presepe e delle capatine nella commedia dell'arte per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi. Nel complesso deliziosa! La fresca direzione musicale era molto leziosa, auto-compiacendosi delle belle melodie e sorvolando velocemente sui recitativi narrativi. Flórez notevole, dal bel timbro chiaro e dalla pronuncia sorprendentemente intellegibile. Gli applausi dopo l'esecuzione della romanza "Una furtiva lacrima" sono stati così insistenti che ne ha concesso un bis. Nonostante l'aria in se non sia stata così eccezionale e nonostante non ami l'interruzione della vicenza per simili divagazioni, proprio quella ripetizioni mi ha trasportato all'atmosfera dei teatri ottocenteschi. Penso che sentiremo ancora parlare di questo ragazzo! 

La Schwartz, invece, non ha brillato per nulla, nella recitazione se l'è cavata egregiamente, ma per il resto non si è distinta se non per incomprensibilità del testo, acuti gridati e vibrato pesante nel registro grave. Molnár bravo, meglio nel II atto che nel primo, idem Plachetka. La Rathkolb ha mostrato di avere voce e personalità, forse il controllo sarebbe ancora da affinare, ma a mio parere ha l'età, l'esperienza e soprattutto le capacità per un ruolo da protagonista, chissà perché è sempre relegata a parti minori?!?!

La serata è stata davvero gradevole. Il teatro era pieno e nessuno se n'è andato a metà spettacolo come accaduto altre volte. Il cartellone è denso di altre opere che m'interessano, basta convincere la compagnia a non perdere una simile occasione.



metti una sera in loggione

Ieri sera mi sono concessa la Traviata alla Staatsoper assieme ad alcuni amici musicisti italiani che non vedevo da mesi, nonostante la comune temporanea emigrazione a Vienna. La locandina: Violetta Valery Ermonela Jaho, Alfredo Germont Francesco Demuro, Germont padre Giovanni Meoni, Direttore Bertrand de Billy e Regia di Jean-Francois Sivadier.

Bacchetta magnifica! Davvero una direzione notevole, curata nei dettagli, con un sapiente uso del rubato ma senza concedere troppo ai cantanti. Solo al momento di scrivere questo post mi sono resa conto che i due Germont erano italiani, in ogni caso mi avevano entrambi piacevolmente colpito. Non solo per la chiara pronuncia italiana (non scontata, nonostante la nazionalità), ma soprattutto per la resa musicale e per come sono entrati nei rispettivi personaggi. In questi condizioni un piccolo cedimento dell'intonazione su un tenuto si perdona. Al contrario non mi ha convinto il soprano. Tecnicamente brava ma senza cura alcuna per la pronuncia, piuttosto schematica nelle dinamiche, dal timbro non bellissimo, quasi roco (forse non era al top, nelle registrazioni ha un timbro molto più limpido), però queste carenze sono state in qualche modo supplite da un'ammirabile presenza scenica, a volte da diva, ma che non stonava con il personaggio di Violetta, abituata ad essere sempre al centro dell'attenzione, soprattutto maschile. 

La regia riproponeva il recente allestimento, creato appositamente per questo teatro e con la Dessay nel ruolo della protagonista. La scena era sempre estremamente scarna, il mobilio ridotto ad un numero variabile di sedie che periodicamente venivano scagliate a terra dai cantanti per sottolineare i momenti di rabbia, pannelli colorati ed un'enorme lavagna completavano il panorama. Nonostante dai costumi si evincesse una trasposizione della vicenda in epoche più vicine, l'ammodernamento non ha in alcun modo toccato la storia. Niente a che vedere con la controversa rappresentazione in Arena di Verona di qualche anno fa.

È stata una bella serata, più da ascoltare che da vedere per la posizione piuttosto laterale in loggione, ma l'opera italiana colpisce sempre nel segno. Posti in piedi, loggione, con vertiginosa vista sulla platea e la buca dell'orchestra, attorniata da musicisti e studenti, tutto per soli 3 euro. Nonostante ritenga i teatri storici italiani infinitamente più belli (Fenice, Scala, Petruzzelli, Massimo, etc., che mi sono dovuta accontentare di vedere in tv causa difficoltà logistiche), non credo che in Italia la nostra opera sia parimenti fruibile, visto che il massimo dello sconto concesso agli studenti del conservatorio era un biglietto da 6 euro per la prova generale, in mezzo a tumultuose scolaresche per la prima volta a teatro.


Giro di pagina

Da tempo programmavo di scrivere questo post, nato da una chiacchierata con un amico. Il titolo non è una metafora per indicare un cambio radicale nella mia vita, bensì proprio all'azione fisica di girare pagina in uno spartito mentre si sta suonando. Nelle varie edizioni musicali sul mercato è raro trovare un'attenta disposizione delle battute in modo da non essere costretti ad interrompere la musica o a ricorrere ad un girapagine, col quale deve instaurarsi un certo rapporto di fiducia per non causare danni (questo fatto ha pure ispirato un film).

Gli strumenti monodici (fiati) o che comunque leggono su un solo rigo (archi) si pongono raramente il problema, perché le partiture sono notevolmente ridotte in lunghezza per cui un intero movimento di sonata riesce a stare su una facciata, massimo due. Il problema sembrerebbe non toccare i pianisti (ed i pochi organisti), che in genere eseguono il repertorio a memoria. In realtà in fase di studio la questione riguarda anche loro, come anche nelle occasioni in cui accompagnano altri strumenti. Per l'organo, poi, talvolta è indispensabile un registrante, che non solo si occupi delle pagine ma anche dei cambi di registri.

Dai tempi degli studi pianistici ho un buon ricordo della Henle, che oltre a fornire urtext lasciava delle facciate bianche per ridurre i giri di pagina. Per quanto riguarda l'organo, invece, la migliore è la Bärenreiter. Nessuna delle altre case editrici che mi sono passate tra le mani (Peters, Breitkopf, Dover, Durand, Leduc, Carrara, etc.), talvolta più costose della suddetta, ha mai avuto la stessa attenzione. Ammetto di avere praticamente l'opera omnia per organo di J.S. Bach in edizione Bärenreiter e l'unico volume ove il giro di pagina non cade in passaggi con una sola mano (permettendo all'altra di girare la pagina), di solo pedale, in prossimità di cadenze o alla fine di un movimento, è il volume sui concerti di altri autori adattati all'organo, ove qualsiasi esecuzione risulta rischiosa senza girapagine o senza aver imparato il brano a memoria.

Finché uno studia può anche interrompersi un momento per cambiare pagina, ma in esecuzione non a mente, come accade solitamente in chiesa durante cerimonie varie, non si può pretendere di avere un assistente, dimezzando le scarse e rare entrate, e quindi ci si deve arrangiare con fotocopie attaccate con  il nastro adesivo e trovate simili. Cari editori musicali, visto che in molti casi consultate un musicista per la diteggiatura, vi costerebbe tanto chiedergli lumi anche su questo aspetto?

Il meteo e la musica


Eos è una rivista gratuita (per i membri dell’AGU, American Geophysical Union) che aggiorna settimanalmente sui risultati delle ricerche in geofisica, climatologia e scienze planetarie, sui convegni a riguardo e sulle opportunità di lavoro nelle università di tutto il mondo (prevalentemente USA). Interessante, ma cosa c’entra con la musica? Solitamente nulla, ma nel numero del 4 Settembre, nella rubrica GeoFizz (come a dire, bollicine geologiche?) è comparso un articolo con un titolo che potremmo tradurre con “Quale meteo influenza la musica”. L'autrice fa qui un sunto ed un aggiornamento di un lavoro precedente, in cui stima statisticamente quali condizioni meteorologiche sono più frequentemente fonte d’ispirazione nella musica orchestrale occidentale.

Lo studio è stato affrontato in modo scientifico, selezionando brani che contengono riferimenti a situazioni meteorologiche (pioggia, vento, temporale, brezza, etc.) o astronomiche (aurora, tramonto, etc.) nel titolo o in partitura o nelle note apposte da editori e revisori. Manco a dirlo, i vincitori sono Vento (non solo negativo) e Tempesta. Da musicista mi ha fatto sorridere la constatazione che in genere le composizioni che descrivono temporali e simili sono in modo minore mentre quelle su situazioni piacevoli sono in maggiore. Che sorpresa!!! Credo sia una della prime regole che insegnino a composizione: triste=minore, allegro=maggiore, regola che vanta anche numerose eccezioni. Nell'articolo originale menzionano anche gli strumenti usati per riprodurre tali condizioni meteorologiche. A parte la scontata macchina del vento o la lastra del tuono, troverei interessante vedere sullo spartito come sono stati invece usati gli strumenti tradizionali (ad esempio il pizzicato per la pioggia leggera), ma non sarebbe una cosa comprensibile alla maggior parte del pubblico scientifico. Viene citato anche un registro dell’organo con effetto tempesta, che sinceramente non ricordo di aver mai incontrato, a meno che non si faccia riferimento ad alcuni organi italiani dell’Ottocento che avevano strane combinazioni a percussioni chiamate “timballone” etc. A quanto ne so servivano per riprodurre il rullato di cassa finale nelle opere, non per temporali e varie, che in chiesa non avrebbero avuto molto senso. Mah! Tornando all'articolo, i due scienziati, una fisica ed un meteorologo, suggeriscono di continuare studi simili per verificare le eventuali correlazioni tra composizioni e variazioni climatiche.

la neues Gewandhaus a Lipsia
Mi sembra una ricerca curiosa ed interessante, forse più per i musicologi che mancano dell'approccio scientifico talvolta, che non per la comunità dei paleoclimatologi (per tacere di geologi, geofisici o impattologi cui non fregherà assolutamente, tranne nel caso siano pure musicisti). Sinceramente credo, però, che il lavoro in questione possa essere stato alterato da due fattori.
  1. Si considera anche la provenienza geografica dei compositori, prevalentemente nordici (tedeschi ed inglesi la fanno da padroni). Come hanno discusso nell'articolo, ciò ha aumentato la probabilità di descrivere cattive condizioni meteorologiche, ma non è l'unico fattore discriminante. L'aver considerato esclusivamente musica orchestrale ha praticamente escluso di fatto una buona fetta di compositori al di sotto delle Alpi che con questo genere non hanno avuto molto a che fare, soprattutto nell'Ottocento, quando il poema sinfonico descrittivo ha raggiunto l'apice del successo.
  2. Il numero di composizione considerate è molto limitate, ne sono sicuramente state scartate molte, senza contare le numerose rappresentazioni di temporali o simili durante le opere liriche, ignorate, benché strumentali, perché inserite in un contesto non prettamente sinfonico. Bisogna ammettere che in tal caso, però, il risultato non sarebbe cambiato di molto, ma avrebbe avuto solamente una statistica più forte. Quante tragedie italiane in musica hanno il culmine in una notte “buia e tempestosa”? Vedi per esempio Rigoletto, l'inizio del Macbeth, etc.

Ecco i riferimenti bibliografici dei due lavori considerati:
Aplin K.L. 2012. Whether weather affects music. Eos 93 (36): 347-348.
Aplin K.L. and Williams P.D. 2011. Meteorological phenomena in Western classical orchestral music. Weather 66(11):300-306.
Se interessati ad avere gli articoli originali (in inglese) in formato pdf, che temo siano accessibili solamente tramite abbonamento di qualche istituto universitario, mandatemi un messaggio privato. Riflettendoci a posteriori forse questo post sarebbe stato più opportuno su geomusik visto l'argomento, ma ormai parlo di musica quasi esclusivamente qui, quindi è qui che deve stare.