Piccoli organisti crescono... in Svizzera

Recentemente mi trovavo a Basilea e non potevo mancare di ascoltare un concerto su uno dei due Andreas Silbermann in città (in realtà ricostruiti). Nella chiesa di S. Leonardo (disposizione dell’organo qui) viene offerto un concerto ogni venerdì, dalle 18:15 alle 18:45 circa. Il 30 ottobre si sono esibiti i tre vincitori del concorso nazionale per giovani musicisti.

Il primo, Sebastian Kalbfuss,un altero dodicenne o forse poco più, ha esordito con la Toccata di Gigout, per seguire con il Preludio e Fuga in mi min. BWV533 di J.S. Bach. Il secondo, Nathan Hubov, all’apparenza un bambino, ha suonato un Preludio in do min. di J.L. Krebs, la fughetta sul nome B.A.C.H. op.123 n.3 di J.G. Rheinberger ed il Preludio op. 9 n. 6 di H. Schroeder. La terza, Alicia Joho, una ragazzina già sviluppata ma sicuramente meno che quattordicenne, ha proposto il Preludio e Fuga in do min. BWV 549 di J.S. Bach, il preludio pastorale di J. Langlais e la Toccata dalla Suite Gothique di L. Boellmann.

Se la sono cavata tutti e tre egregiamente, suonando molto meglio di quanto  facessimo noi a vent’anni in conservatorio. Questo indica non solo la loro dedizione nell’esercitarsi ma soprattutto la presenza di un insegnante coscienzioso, che sa spiegare l’importanza del fraseggio e le differenze tra suonare un autore barocco da uno romantico. Al di là delle teorie filologiche, purtroppo in conservatorio a noi contavano più le note giuste dell’interpretazione. I ragazzini hanno commesso minimi errori (ahimè la ragazza qualcuno in più), soprattutto cambi di tempo, che facevano trasparire l’emozione, ma davvero bravi. Bimbi prodigio? No, semplicemente educati. Se la musica fosse insegnata sin dall’infanzia, ci sarebbe molti più giovani organisti e magari anche più motivati pure da noi. La maturazione e la piena consapevolezza verranno col tempo, se seguiti a dovere.

L’organo aveva un suono molto bello, anche se né le combinazioni né forse il temperamento “suonavano” bene nel repertorio romantico. Sospetto che in parte sia colpa di preconcetti su come debba essere la registrazione “romantica”, senza la flessibilità di adattarla allo strumento.

Nota a margine. Il concerto è iniziato puntualmente. La chiesa non era strapiena, ma c’era parecchia gente, per la maggior parte anziana. All’uscita una cassetta per le offerte invitava a sostenere questa attività. In una città estremamente cara come Basilea, un buon concerto è ad offerta libera, ogni settimana, è una vera delizia. Tutto il contrario di Bxl, ove i concerti, anche di scarsa qualità o amatoriali, sono molto cari, iniziano in perenne ritardo e spesso (vedi ultimo caso all’Istituto di Cultura o al saggio della classe di organo) le chiacchiere hanno più spazio della musica.

L'elisir al circo

Finalmente di nuovo ad assistere ad un'opera lirica! Una nuova produzione de "L’elisir d’amore" di G. Donizetti targata La Monnaie/De Munt, realizzata al Cirque Royal/Koninklijk Circus perché il teatro ufficiale è chiuso per lavori. Direttore Thomas Rösner (un viennese!), regia Damiano Michieletto (veneziano!), coro diretto da Martino Faggiani, con Olga Peretyatko nella parte di Adina, Dmitry Korchak in Nemorino, Aris Argiris in Belcore e Simón Orfila in Dulcamara, con l’orchestra sinfonica ed il coro de la Monnaie/de Munt.

L'ingresso del "circo"
La serata è partita male, merito di un’organizzazione pessima. Il Cirque Royal, è una sorta di moderna sala da concerti ma senza organo e con i sedili con pendenze da capogiro, come nemmeno nelle vecchie aule del Bo avevo sperimento. Acquistati i biglietti online, per la modica cifra di €16 a testa + €3 di gestione, la sottoscritta ed un’amica erano pronte ad entrare una decina di minuti prima dell’inizio previsto. Abbiamo salito le scale fino alla balconate e lì un ragazzo ci ha detto che per il nostro settore dovevamo scendere. Mah, le indicazioni davano di salire. Pazienza, scendiamo tre piani di scale e seguiamo nuovamente le indicazioni. Un altro tipo stavolta ci lascia passare, raggiungiamo la balconata che troviamo coperta da un telo nero ed un ragazzo ci dice che non aprivano il settore e che dovevamo tornare giù per farci cambiare i biglietti. Torniamo giù e qui una signora ci dice che il responsabile era andato a far aprire la balconata. Per la terza volta torniamo su e finalmente possiamo sederci, solo per scoprire che in realtà siamo rimaste praticamente le uniche in balconata, perché gli altri nel frattempo si erano spostati nei posti liberi dei settori più centrali. Le solite cose fatte a metà alla brussellese!

Finalmente inizia lo spettacolo, con il consueto ritardo. L’orchestra è letteralmente imbucata di lato, pregiudicandone l’udibilità, con abbigliamento da spiaggia. Il palco, al centro della sala, rappresenta esattamente una spiaggia. Ambientazione moderna che ha pregiudicato la resa:
1. Il direttore d’orchestra, nelle vesti di bagnino, dava le spalle alla scena. Nonostante gli schermi e gli sbracciamenti, i cantanti facevano un po’ quel che volevano, tanto che più di qualche volta accompagnamento e melodia erano sfasati.
2. I cantanti sono stati costretti a cantare in posizioni assurde o compiendo azioni strane, dallo stretching in spiaggia per Adina ad un ballo tipo tarantella per Dulcamara (giusto per informazione, Adina era l’animatrice di una sorta di lido, Nemorino il tuttofare bruttino ed imbranato, Dulcamara spacciava una copia di una nota bevanda energizzante, di cui hanno ripreso pure l’auto pubblicitaria e, udite bene, Belcore era una sorta di ufficiale di marina - sergente! non mi risulta questo grado! - che ci ha donato uno spogliarello che ci saremmo volentieri risparmiati).
3. Infine le azioni di contorno (per esempio dei coristi) distraevano lo spettatore (tranne nel caso delle arie, in cui il coro si congelava e la luce puntava solo sui solisti).
In conclusione, la regia è diventata forzatamente la protagonista della rappresentazione, facendo scomparire la musica.

Una scena. Foto dal web.
I solisti hanno brillato solo per il coraggio di mostrarsi seminudi e per riuscire a cantare anche correndo al limite del ridicolo. Per il resto erano troppo concentrati dai movimenti da compiere per dedicare un po' di attenzione al testo ed alle note. Vocalmente salverei soltanto Dulcamara. L'insieme mi è risultato talmente fastidioso che, con la prospettiva d’impiegare almeno un’ora per rientrare e visto che l’indomani comunque si lavora, all’intervallo ho tagliato la corda. Tanto, come ha detto un collega, conosco già la storia.

P.S. Perché non si pensi che sia a priori contro le trasposizioni in tempi moderni di opere storiche, ricordo delle ottime realizzazioni in passato, tipo una versione del "Don Pasquale" ambientata negli anni ’20 o del "Così fan tutte" negli anni ’90. Un po’ meno felici sono state "Traviata" all’Arena, dominata da una bambola gonfiabile, o una "Boheme" di periferia, ma comunque il senso dell'opera è rimasto. Perché voler colpire a tutti i costi, snaturando il lavoro del compositore? Come quando trasformarono nella vita di un suicida il magnifico oratorio sacro "Messiah" di Händel. Credete veramente che vedere un tipo panciuto in boxer in spiaggia parlare con un italiano dell’800 sia credibile? Altro che sognare, immedesimarsi ed immergersi completamente nella musica!

Jubiläums-Konzert

La comunità luterana di lingua tedesca a Brussel/Bruxelles ha festeggiato questo weekend 60 anni di esistenza, rifondata dopo la II guerra mondiale, e 40 anni dalla benedizione dell’edificio in Avenue Salomé. Oltre ad un culto particolarmente festivo ed a varie occasioni conviviali, come celebrare meglio questa ricorrenza se non con un concerto, cui hanno assistito vescovi da altre comunità, rappresentanti della chiesa cattolica di lingua tedesca e di parrocchie belghe, e persino il novello ambasciatore di Germania?

Il concerto in questione aveva come protagonisti Anneli Harteneck, soprano, Sarah Vermeyen, flauto traverso, Wim Spaepen, violino, Stijn Saveniers, violoncello, e Gertrud Schumacher, clavicembalo, con un programma che comprendeva: Canzoni I e V di G. Frescobaldi, “Cantabo Domino” di A. Grandi, “O quam pulchra es” di C. Monteverdi, Sinfonia di J.J. Fux, Fantasia per violino solo di G. Ph. Telemann, poi di C.Ph. E. Bach tre Lieder, Hamburger Sonate in sol magg. per flauto e b.c. e Pastorale in la minore, infine di J.S. Bach “Hört, ihr Völker” dalla cantata BWV 76, preludio dalla V suite per violoncello solo e “Meine Seele sei vergnügt” dalla cantata BWV 204. Come bis, un corale, come ogni cantata che si rispetti.
Ogni strumento (eccetto il clavicembalo) ha avuto la possibilità di mostrare le proprie peculiarità ed il solita di turno il proprio virtuosismo. In questo si sono potuti distinguere i giovani interpreti (flautista, violinista e violoncellista) da quelli più maturi (in questo caso il soprano). I giovani hanno mostrato particolari abilità tecniche (pur se con minime imperfezioni), ma un’interpretazione quasi meramente basata sulla fedeltà allo spartito, mentre Anneli Harteneck ha reso il significato di ogni parola, sempre comprensibilissima, che fosse in latino o in tedesco. Gertrud Schumacher, al clavicembalo, ha fatto un servizio dignitoso e costante, anche se forse per l’età (decisamente avanzata) o per le prove limitate non ha mostrate una grande coesione col violoncello. In ogni caso, tanto di cappello agli esecutori, che sono riusciti a rendere un gradevole concerto nonostante l’acustica secchissima dell’ambiente, che non perdona alcun errore. Prima della famiglia Bach, il violoncellista ha spiegato in un tedesco migliore del mio che C. Ph. E. Bach è sottostimato nei confronti del padre, perché in realtà Carl Philipp Emanuel è stato un personaggio importante della storia della musica tanto da essere considerato un “padre” per Haydn, Mozart e tutto il Classicismo. Cosa che personalmente condivido a livello teorico, ma un paragone con J. S. Bach è inopportuno, data la grandezza di quest’ultimo oltre i limiti delle epoche. I brani scelti l’hanno chiaramente dimostrato. In genere, ho apprezzato la  scelta del repertorio cantato, appropriato al luogo ed all’occasione. Delicatezza che generalmente è tipica della comunità tedesca, non solo luterana, ove la musica è parte integrante della liturgia e non mero accompagnamento.
Nel tradizionale brindisi del dopo concerto ho ritrovato quasi tutti i partecipanti alla Bachreise. D’altronde la predica del culto della domenica di ritorno è stata dedicata al corale “Schmücke dich, o liebe Seele” BWV 654 e l’intero giornalino d’autunno della comunità ha come tema J. S. Bach. La serata è proseguita per me con una simpatica cena cipriota con un’amica melomane con cui sto partecipando a parecchi concerti in città ed una collega britannica incuriosita dal mio entusiasmo nel far pubblicità all’evento. Ovviamente mi ha fatto molto piacere vedere la chiesa gremita in un freddo sabato sera ed in una zona non proprio facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Ennesima conferma come la comunità tedesca sia una garanzia in termini di musica.

Il carillon di Mechelen 2

Di nuovo a Mechelen, di nuovo per un concerto di carillon, di nuovo nella chiesa Onze-Lieve-Vrouw-over-de-Dijle e di nuovo per sentire Tom Van Peer. Ma questa volta non da sola. Sabato scorso ero accompagnata da un amico geologo olandese in visita in città, due ragazze cinesi appassionate di musica ed un ragazzo rumeno che da poco ha cambiato vita trasferendosi in Belgio per lavoro. Un bel gruppetto eterogeneo, unito dall'amore per la buona musica e dalla curiosità per uno strumento non comune.

Tom Van Peer alla console del carillon di Sint Rombout
Il concerto è stato magnifico. Il programma prevedeva musica da film, cosa che molti altri avrebbero trasformato in uno spettacolo pacchiano, invece Tom Van Peer non solo ha elaborato delle trascrizioni per carillon in forma di suite, con delle transizioni musicali tra un brano e l'altro, ma è riuscito a far cantare lo strumento come se fosse un pianoforte, mentre sappiamo bene quanto sia difficile anche solo suonare decentemente delle pesanti campane. Un musicista straordinario, che ogni volta compensa il disturbo del viaggio fino a Mechelen.

Stavolta nemmeno un diluvio ci ha fermati. Veramente la sottoscritta era pronta a rinuniciare, ma visto l'entusiasmo della comitiva non ho potuto tirarmi indietro. Abbiamo trovato riparo in uno spazio della parrocchia, che aveva anche allestito una sala con schermo per vedere in diretta il carillonista all'opera, ma l'acustica amplificata dal campanile non rendeva bene le sfumature sonore come si poteva, invece, apprezzare sostando sul portone dell'edificio, con l'orecchio teso all'esterno. Alla fine del concerto è spuntato pure il sole, per cui ci siamo goduti un giro turistico in città ed una meritata cioccolata calda (l'estate belga è già terminata, siamo in pieno autunno).

Festa dei cori - Ô les choeurs!

Tra le varie iniziative del periodo, anche quest’anno la settimana scorsa si è ripetuto il festival corale “Ô les Choeurs” al Parco Georges Henri, un ex-cimitero che riunisce in sé il ciclo della vita ospitando sia vestigia di tombe sia un’enorme area attrezzata per bambini. L’anno scorso non potei assistervi causa brutto tempo, mentre quest’anno le temperature erano gradevoli ed il sole faceva di sovente capolino tra le nubi. Inoltre stavolta avevo la compagnia di altre appassionate di musica.

Dalle 15 alle 22 diversi cori, di genere completamente differente, si sono succeduti sui tre palchi allestiti nel parco. Non sono rimasta fino al termine, quando era compreso il coinvolgimento del pubblico, ma ho avuto modo di sentire una panoramica di cori, da quello classico con repertorio sacro-lirico a quello gospel, da quello popolare-festoso a quello d’avanguardia, da quello tradizionale popolare a quello di musica antica. Una festa per gli orecchi, nonostante l’acustica del luogo all’aperto non fosse ottimale e nonostante i numerosi aerei che perennemente sorvolano la zona in fase di decollo (purtroppo l’aeroporto è a meno di 7 km in linea d’aria). Il coro gospel Ma'chaka mi ha colpito particolarmente, pur non amando il genere. Belle voci, esecuzione curata e sentita allo stesso tempo.

Unica nota negativa, l’organizzazione dell’evento. Poco pubblicizzato al di fuori del comune di Woluwe-St-Lambert (facente parte della Regione Bruxelles Capitale) e soprattutto carente in termini di disponibilità di programmi ed informazioni sulla posizione dei tre palchi e sulla successione degli interpreti. L’iniziativa è comunque lodevole, sia per la promozione dell’attività corale sia per la diffusione della musica. Una cosa rara da noi in Italia, ove le rassegne di cori sono eventi quasi elitari e relegati in chiese o in teatri. In ogni caso, questo colorato ed un po’ traballante festival belga è stato un modo piacevole per trascorrere un sabato pomeriggio all’aperto. Qualora rimanessi in Beglio, probabilmente ci torneri anche l’anno prossimo, meteo permettendo.

Musica e parole per San Giovanni

Ho detto che è esplosa la stagione dei concerti e ne ho descritto qualcuno, ma è da un po’ che non racconto di attività musicali in cui sono coinvolta in prima persona. Ho forse lasciato la musica pratica? No, non ci penso proprio. Infatti, qualche sera fa la festa della comunità cattolica di lingua tedesca (St. Paulus) si è aperta con una serata musicale offerta dall’Ökumenische Kantorei, cui faccio parte, diretta da Christoph Schlütter

Il programma
Il programma prevedeva: “Der du bist drei in Einigkeit” di M. Luther, il Salmo 98 (autore?), “Singet dem Herrn ein neues Lied” di H. Schütz, “Die beste Zeit im Jahr ist mein” di A. Mendelssohn, “Christ, mighty savior” in un arrangiamento di C. Schlütter, “Hinunter ist der Sonnen Schein” di M. Vulpius e “The Lord bless you and keep you” di J. Rutter. I brani corali erano intervallati con pezzi per organo solo (“Schmücke dich, o liebe Seele” BWV 654 di J.S. Bach e “Vesper Voluntary” di E. Elgar suonati da C. Schlütter e “Nun ist das Heil uns kommen her” di Anonimo eseguito dalla sottoscritta) e da testi poetici (“O Nacht, zwar schwarze, aber linde Zeit” di M. Buonarroti, “Rede des toten Christus vom Weltgebäude herab, dass kein Gott sei” di J. Paul ed il Vangelo del giorno sulla nascita di S. Giovanni Battista) in cui sono stati coinvolti i due sacerdoti locali (luterano e cattolico).

Come ha detto il parroco, la serata non è stata un concerto ma un vero e proprio “Gottesdienst”. In questo si riconosce la mano del luteranesimo, confessione praticata dal nostro direttore. Un concerto spirituale che attraverso musica e testi porta dalla professione di fede alla consolazione della salvezza. Musicalmente ho trovato un coro finalmente unito. La resa è stata buona anche grazie alle aggiunte straordinarie: un soprano con il marito ed la coppia di pastori luterani. Il direttore, giunto solamente quest’anno, ha avuto coraggio e determinazione, nonostante le defezioni ed i problemi d’integrazione iniziali. Sinceramente avevo qualche dubbio, perché il programma ci è stato reso noto all’ultimo minuto e non avevo nemmeno idea di cosa avrei dovuto suonare e quando avrei dovuto accompagnare il coro (il repertorio contemporaneo non era a cappella). Credevo che i Tedeschi fossero sempre iper-organizzati, con programmi decisi mesi prima, invece anche loro conoscono “l’ultimo momento” e l’improvvisazione. Il risultato è stato davvero ottimo, grazie anche all’acustica della cappella, nonostante sia una costruzione moderna. Al solito, il pubblico era scarso, ma almeno era più numeroso del coro, non come all’ultimo concerto. Non vedo l’ora di ricominciare l’attività corale l’anno prossimo, con un nuovo ricco programma! Un sentito grazie a Christoph per la bella possibilità e per aver infuso fiducia in tutti noi.

Piccola nota a piè di pagina. Questo è stato il mio primo “concerto” in una chiesa tedesca, con pure il mio nome (ingiustificatamente) in locandina. Dico ingiustificatamente perché ho suonato una minima parte rispetto al direttore e perché avrei preferito continuare a rimanere un’anonima corista che all’occorrenza sa dove mettere mani e piedi. Dopo il concerto si è svolta una grigliata collettiva, cui era invitato anche il pubblico. Ovviamente con una scusa me ne sono andata. Mi sarei sentita in imbarazzo. Sono stati gentilissimi ad accogliermi, pur se non tedesca e nemmeno in grado di esprimersi correttamente nella loro lingua, ma resto una straniera, un’intrusa per il solo amore della musica.

Madrigali di primavera

Con giugno è letteralmente esplosa la stagione dei concerti. Ve ne sono così tanti che mi è impossibile andarne a sentire più di due a settimana, sia per i costi (gratis qui c’è solo la fastidiosa musica nelle stazioni metro) sia per il sovrapporsi d’impegni. Per quest’ultimo motivo ho dovuto rinunciare ad un concerto in conservatorio con musiche di Brahms e Bruckner per coro e pianoforti (uhm… trascrizioni, presumo) ed uno all’Istituto Italiano di Cultura per tiorba e voce. Domenica sera, invece, sono finalmente riuscita a sentire i Brussels Madrigal Singers. L’occasione è stata data dall’invito di una corista tedesca, conosciuta nel coro ecumenico che frequento, che sta per tornare definitivamente in Germania con la famiglia. Ottima scusa per vincere la pigrizia ed attraversare la città per sentire quest’ottimo coro nella Chiesa di Scozia, St. Andrews.
Il programma ha previsto una selezione di brani rinascimentali e barocchi, con brevi incursioni nel romanticismo e nella contemporaneità. Pur prediligendo la musica inglese, non si sono dimenticati di quella tedesco, francese ed italiana, con testi pronunciati correttamente (il vantaggio di avere coristi che di professione fanno gli interpreti o che vengono da diverse parti del mondo). Quasi ogni brano è stato brevemente introdotto da alcuni aneddoti raccontati dal direttore, in inglese, per inquadrare il momento storico. Per dare un po’ di respiro ai coristi, a metà concerto il direttore, l’americano Julius Stenzel, si è esibito alla viola da gamba a 5 corde con tre movimenti della Sonata n.2 in la minore per violino solo BWV 1003.
Nonostante il coro annoveri elementi alquanto anziani, benché rodati, l’ingresso recente di nuove e giovani voci ha sicuramente rinfrescato l’ambiente. Il direttore è uno studioso dalla vasta cultura. I brani erano curatissimi, sia nell’intonazione, sia nella resa dei madrigalismi. L’acustica della piccola chiesa era perfetta, né troppo rimbombante come le grandi cattedrali (effetto che aiuta a coprire piccoli difetti come le chiuse o le partenza sfasate tra coristi) né troppo secco (come in conservatorio o in altre sale da concerto, mettendo alla berlina persino i respiri tattici). Peccato ci fosse poca gente. I coristi (18 in totale) erano più numerosi del pubblico presente (ca. una decina di persone). Peccato davvero!

In questo periodo ho avuto l’opportunità di vivere un’altra esperienza legata alla musica, anche se non si è trattato di un concerto. Grazie ad un gruppo internazionale, ho visitato il carillon di Sint Rombout a Mechelen e l’annessa accademia, unica in Belgio, per apprendere questo strumento. Con l'inizio dell'estate si entrerà nel vivo della stagione di concerti di carillon in tutte le Fiandre, come già raccontato nel 2013 e l'anno scorso. Era dal corso estivo di Haarlem (2008) che non vedevo la console di un carillon nordico. Essendo in qualche modo simile a quella di un organo (per la presenza di una pedaliera), non è raro incontrare organisti-carillonisti da queste parti, anche per poter forse integrare il magro stipendio da musicista di chiesa. Nel passato come oggi. Qualora restassi in Belgio, ci fare un pensierino pure io. Un piano B casomai la ricerca scientifica non mi volesse più al suo servizio.