Lo scorso 19 gennaio sono nuovamente andata all’università della musica per un concerto. Stavolta si trattava del saggio di fine semestre degli allievi di direzione corale di Ingrun Fussenegger e di Thomas Lang. I primi hanno diretto un coro di studenti di composizione e di tecnici del suono cui anche loro facevano parte, mentre i secondi hanno avuto l’onore di dirigere elementi del WebernStudioChor, accompagnandosi a vicenda al pianoforte (o ai pianoforti). Questo ha determinato anche la diversa scelta del repertorio, più dall’ambito sacro a cappella per i primi e comprendente anche qualche brano operistico per i secondi, oltre a cori da grandi lavori come l’Elias di Mendelssohn e il Deutsches Requiem di Brahms. Per entrambi i gruppi gli autori scelti spaziavano dal rinascimento fino alla contemporaneità.
Il concerto è stato relativamente lungo, dato il numero di aspiranti direttori che si sono susseguiti sul podio (8+16), con una breve pausa ossigenante in mezzo. Oltre a qualche viso già visto in altre circostanze, c’erano pure due vecchie conoscenze, un organista e Stefano, di cui ho più volte parlato. Nel complesso se la sono cavata tutti. Chi ha tentato di dirigere a memoria, chi aveva la partitura orchestrale, chi si è perso con i pianisti in forte disaccordo tra di loro e chi ha trasformato il saggio in uno spettacolo. Dal punto di vista corale le sbavature sono state minime o addirittura assenti. Bello poter avere un coro a disposizione che non ha problemi d’intonazione o di lettura e che è relativamente pronto a seguire l’interpretazione del maestro. Peccato che nella realtà questi ragazzi avranno a che fare con cori di dilettanti, cui pure la corretta respirazione sarà sconosciuta. A parte quei pochi che avranno la fortuna di dirigere cori professionisti. Finché studiano, è giusto che gli aspiranti direttori (e direttrici, in numero crescente) si facciano le ossa con “strumenti” ottimali. Alcuni di loro fanno in parallelo (o hanno già concluso, come Stefano) il corso di direzione d’orchestra, ove è più facile avere davanti un gruppo di professionisti. Due “colleghi” scienziati, che lavorano in settori diversi, si sono uniti come pubblico e sembrano aver apprezzato il concerto, cui è seguita una lauta cena divertita, come ai tempi del conservatorio in Italia.
Il concerto è stato relativamente lungo, dato il numero di aspiranti direttori che si sono susseguiti sul podio (8+16), con una breve pausa ossigenante in mezzo. Oltre a qualche viso già visto in altre circostanze, c’erano pure due vecchie conoscenze, un organista e Stefano, di cui ho più volte parlato. Nel complesso se la sono cavata tutti. Chi ha tentato di dirigere a memoria, chi aveva la partitura orchestrale, chi si è perso con i pianisti in forte disaccordo tra di loro e chi ha trasformato il saggio in uno spettacolo. Dal punto di vista corale le sbavature sono state minime o addirittura assenti. Bello poter avere un coro a disposizione che non ha problemi d’intonazione o di lettura e che è relativamente pronto a seguire l’interpretazione del maestro. Peccato che nella realtà questi ragazzi avranno a che fare con cori di dilettanti, cui pure la corretta respirazione sarà sconosciuta. A parte quei pochi che avranno la fortuna di dirigere cori professionisti. Finché studiano, è giusto che gli aspiranti direttori (e direttrici, in numero crescente) si facciano le ossa con “strumenti” ottimali. Alcuni di loro fanno in parallelo (o hanno già concluso, come Stefano) il corso di direzione d’orchestra, ove è più facile avere davanti un gruppo di professionisti. Due “colleghi” scienziati, che lavorano in settori diversi, si sono uniti come pubblico e sembrano aver apprezzato il concerto, cui è seguita una lauta cena divertita, come ai tempi del conservatorio in Italia.
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La serata mi ha permesso di riflettere sul ruolo del direttore di coro. In tanti anni da corista e da organista accompagnatrice ho visto parecchi direttori di coro, italiani e non. Solo due erano donne e di entrambe ho un buon ricordo in quanto carisma e chiarezza. Ho conosciuto direttori tecnicamente perfetti ma senza capacità d’imporsi sul coro o di dare un’interpretazione non scolastica ai pezzi ed altri dilettanti che comunque portavano a casa brani moderatamente complessi con dignità. Qui vorrei ricordare i direttori di coro più importanti per la mia formazione. Emanuele Pasqualin è stato il primo che abbia mai conosciuto. Ero adolescente ed iniziavo solo allora ad avvicinarmi allo studio strutturato della musica Come insegnante di solfeggio m’invitò ad entrare nel coro di parrocchia che dirigeva. Fu un grande regalo. Il mio contributo nel coro era praticamente inesistente, ma ho imparato molto. Ho anche avuto modo di partecipare al primo concerto dalla parte del “palco”, con un’esecuzione del Requiem di Fauré che per me resta la migliore mai udita, nonostante gran parte dei coristi non fosse in grado di leggere la musica. All’arrivo a Vienna, Erzsébet Windhager-Geréd, Kantorin nella Lutherische Stadtkirche, mi ha dato la possibilità di prendere parte per la prima volta a delle cantate di Bach, realizzando così un sogno. Ho sempre ammirato la sua energia, che riusciva a trasmettere anche ad un coro eterogeneo e stanco dalle giornate di lavoro, oltre all’attenzione al testo ed alla funzione nella liturgia. Rimanendo in tema musicale luterano, merita di essere menzionato anche Christoph Schlütter, il direttore della Ökumenische Kantorei a Bruxelles, con cui ho finalmente imparato a conoscere e ad apprezzare Schütz e Buxtehude. Purtroppo il coro era troppo piccolo o troppo poco preparato per garantire una resa ottimale, ma la sua interpretazione dei brani resta un grande insegnamento per me. Guarda caso, entrambi quest’ultimi hanno completato o stanno completando un dottorato in musicologia e sono luterani o lavorano per la chiesa luterana.
In conclusione, dirigere un coro non è facile, non ci si improvvisa direttori e non basta conoscere la teoria. Ci vuole la capacità di instaurare un’efficace comunicazione con i coristi, d’ispirare rispetto da parte loro senza però intimidirli. Il coro deve diventare un’estensione delle braccia del direttore, come un vero e proprio strumento musicale. Per questo, secondo me, è importante avere tempo per provare e per conoscersi vicendevolmente, anche con attività “sociali”, come è accaduto spesso sia con Erzsebet sia con Christoph e tentativamente anche con E. Pasqualin, ma ero troppo timida, giovane ed ignorante per comprenderlo. Personalmente non ho queste capacità, oltre a non avere la preparazione per dirigere un coro. Fatto curioso, per ben due volte ho iniziato come corista e poi sono stata pregata di accompagnare i cori all’organo. Spero di aver fatto un lavoro decente allo strumento, entrando in sintonia con le intenzioni del direttore. Al momento questo tipo di esperienze mi manca, per mio volere. Sono cambiata e devo ancora trovare il coro "giusto" per l'individuo musicale che sono ora. Per poter crescere ancora.
In conclusione, dirigere un coro non è facile, non ci si improvvisa direttori e non basta conoscere la teoria. Ci vuole la capacità di instaurare un’efficace comunicazione con i coristi, d’ispirare rispetto da parte loro senza però intimidirli. Il coro deve diventare un’estensione delle braccia del direttore, come un vero e proprio strumento musicale. Per questo, secondo me, è importante avere tempo per provare e per conoscersi vicendevolmente, anche con attività “sociali”, come è accaduto spesso sia con Erzsebet sia con Christoph e tentativamente anche con E. Pasqualin, ma ero troppo timida, giovane ed ignorante per comprenderlo. Personalmente non ho queste capacità, oltre a non avere la preparazione per dirigere un coro. Fatto curioso, per ben due volte ho iniziato come corista e poi sono stata pregata di accompagnare i cori all’organo. Spero di aver fatto un lavoro decente allo strumento, entrando in sintonia con le intenzioni del direttore. Al momento questo tipo di esperienze mi manca, per mio volere. Sono cambiata e devo ancora trovare il coro "giusto" per l'individuo musicale che sono ora. Per poter crescere ancora.